martedì 23 settembre 2008

UN RISTORANTE D'ALBERGO A MILANO

Ristorante The Park

Hotel Park Hyatt
Via Grossi 1, Milano
Tel. 02 88211234

Il desiderio di sperimentare e di verificare le voci relative a Filippo Gozzoli, giovane e promettente cuoco, ci hanno indotto a cenare presso il Ristorante The Park, posto all'interno del lussuoso Park Hyatt Milan, a due passi dal Duomo e dalla Galleria Vittorio Emanuele II.
L'ambiente è gradevole, appropriato a quello che si autodefinisce "boutique hotel"; il servizio è abbastanza accurato, l'apparecchiatura della tavola elegante e raffinata.

Il menu comprende 20 preparazioni, che vanno dalla tradizione lombarda agli accostamenti della cucina creativa, suddiviso in "classici italiani", "tradizione lombarda", "nuovi sapori" e "menu degustazione".
Per ogni piatto è suggerito un vino, che si può ordinare a bicchiere: una lodevole iniziativa che ci piacerebbe fosse più diffusa, poiché permette di assaggiare diversi vini e trarre il massimo piacere dalla tavola.

La carta dei vini è ampia, con proposte interessanti, anche se, come al solito, con annate generalmente troppo giovani: sembra che la ristorazione sia tetragona a considerare il fatto che i vini debbano essere venduti quando siano maturi, sia rossi sia bianchi; questi ultimi, soprattutto, risentono della moda-mania del consumatore di richiedere l'ultima vendemmia, nell'errata convinzione che i vini bianchi non sopportino affinamenti in bottiglia.
Abbiamo ordinato:
  • Baccalà affumicato, taccole, salsa all'arancia: gli amanti di questo tipo di pesce chiedono di percepirne il sapore deciso, mentre in questo caso la delicatezza ha trasformato il baccalà in un pesce qualsiasi e l'affumicatura era quasi impercettibile. 78/100

  • Tartare di manzo Fassone, raperonzolo, foie gras e zabaione alla soia: carne ottima e gustosa, flebile nei sapori, con opinabile inserimento della soia. 82/100

  • Rigatoni tiepidi al gratin di ricotta stagionata, ricci di mare e peperoncino: semplice e gustoso, anche se si stenta a riconoscere i ricci di mare, soffocati dalla ricotta. 81/100

  • Spaghetti alla chitarra con "carbonara di mare": incuriositi, ci siamo trovati di fronte ad un piatto banale. 79/100

  • Pescatrice al Pata Negra, rosti di patate, tartare di melanzane: queste ultime hanno completamente annullato la presenza del pesce, appena scottato ma privo di sapori marini. 79/100

  • Crepinette di piccione al tamarindo, cous cous di frutta secca: alla carne cucinata con maestria si contrappone un cous cous abbastanza anonimo, che non si fonde, dal punto di vista organolettico, con la carne. 77/100

  • Dessert: fuori lista, assaggi gradevoli ed equilibrati, ottima la preparazione di quelli al cioccolato. 83/100
Ci siamo fatti tentare da una strepitosa bottiglia di Champagne Philipponnat Clos des Goisses 1991, che ci ha accompagnati per buona parte della cena: un vino pieno, ricco, sfumato, maturo ed elegante, con acidità e freschezza rimarchevoli, accompagnate da note agrumate e di frutta matura. L'annata eccezionale è stata il 1990, ma la successiva è di tutto rispetto. 96/100
A seguire, un Sauvignon blanc della Nuova Zelanda, il Cloudy Bay Marlborough 2001: una delle migliori espressioni di quest'uvaggio a livello mondiale; pieno seppur delicato, con tutti i profumi tipici del vitigno, appena ammorbiditi dal passaggio in piccole botti. 94/100



In conclusione, possiamo dire che i vini hanno compensato, in una certa misura, una cena abbastanza deludente, priva di spunti eclatanti, che non ci ha fatto sognare.
Si potrà obiettare che quest'approccio può essere troppo riduttivo o eccessivamente esigente, ma riteniamo che il cibo debba, come il vino, comunicare emozioni, sia organolettiche sia evocative, soprattutto quando ci si siede alla tavola di ristoranti che ambiscono ad essere blasonati.
Riteniamo che quella dell'Hotel Park Hyatt sia una cucina "normale" con qualche spunto innovativo, poco attenta ai sapori primari e caratteristici delle materie prime, orientata ai gusti di una clientela tendenzialmente non incline ad indulgere ai piaceri del palato, più attenta al contesto architettonico che a quello che si ritrova nel piatto.

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