mercoledì 12 novembre 2008

SPARIAMO CHAMPAGNE!


Mi è stata segnalata un'iniziativa che accomuna due simboli del nostro tempo: James Bond e lo champagne Bollinger.

Questa maison ha messo in commercio, solo 207 esemplari numerati, una magnum Bollinger Grande Année 1999 racchiusa in un involucro che riproduce, ingigantita, la pallottola della pistola Walter PKK, quella preferita da 007.

Disegnata da Eric Berthès, la confezione, presentata in elegante cofanetto di legno simil-pregiato, ha un prezzo abbordabile, solo 4.000 euro: un grazioso regalo natalizio che farà felice chi lo riceverà e lo farà sentire vicino all'agente di Sua Maestà!

Sorge spontanea una domanda, forse capziosa ed un poco irriverente: perché trattare lo champagne di un'affermata maison come un qualsiasi gadget prodotto in estremo oriente? Che necessità ha Bollinger di involgarire la propria immagine? Moda, marketing, strizzatina d'occhio ai russi arricchiti per ironizzare sulla passata guerra fredda?

D'altra parte, dopo aver visto contenitori di diversa foggia e d'improbabile uso color arancione contenenti bottiglie di champagne, non dobbiamo stupirci.

Meditate, gente; meditate!

lunedì 3 novembre 2008

I SENSI E LA CUCINA

Ristorante Cracco
Via Victor Hugo 4
20121 MilanoTel. 02 876774

Da tempo esiste una sorta di dibattito, spesso sotterraneo, circa Carlo Cracco: ammiratori totali si scontrano dialetticamente con critici dal dente - è il caso di dirlo visto che si tratta di cucina! - avvelenato.
Noi non facciamo parte di nessuna delle due fazioni, poiché preferiamo affrontare i risultati del lavoro di Cracco con serenità e senza pregiudizi.
Qualche sera addietro abbiamo cenato da lui e quello che segue è la cronaca della serata. Con noi c'era una delle migliori cuoche venezuelane, Irina Pedroso, in Italia in occasione del Salone del Gusto di Torino: riteniamo interessante sottolineare come i nostri giudizi siano stati pienamente condivisi da Irina, a riprova del fatto che la filosofia di Aepicurus abbia solide fondamenta.

S'è iniziato con quella che comunemente è definita "cortesia dello chef", vale a dire uno stuzzichino che aumenta l'appetito e che apre l'avventura gastronomica; sono arrivate in tavola delle verdure essicate, foglie impalpabili ricche di sapori, deliziosamente croccanti e colorate: un assaggio della fantasia del cuoco. 90/100

Nuvole di farina di riso, nero di seppia, olive ascolane e bigné al tartufo: un secondo stuzzichino che ha avuto la funzione di preparci al mondo sensoriale nel quale si muove Carlo Cracco; sapori delicati ma decisi uniti a sensazioni tattili gradevoli, con una malandrina strizzatina d'occhi alla mise en place. 91/100

Insalata russa caramellata: la prima delle invenzioni che ci accompagneranno per tutta la cena; ti è proposto un disco del diametro di 6/7 centimetri e spesso uno, da prendere con le mani; lo afferri e percepisci l'appiccicaticcio dello zucchero caramellato, lo porti alla bocca, addenti e come per incanto sei invaso da una delle migliori insalate russe mai assaggiate; la maionese vellutata e delicata ti cola un poco sulle dita, che prontamente lecchi con gusto; poi ti rendi conto che hai incontrato il croccante dolciastro che si stempera nel saporito; la tecnica della preparazione lascia sbalorditi. 94/100

Insalatina di cachi, noci e cacao: colori autunnali coniugati - di nuovo! - alla leggerezza ed alle stimolazioni tattili; dolce e salato convivono, quasi si dimentica di stare assaggiando della frutta; l'amarognolo delle noci è amplificato dal cacao ed il tutto avvolge i sottili spicchi del caco, così morbidi ed al tempo stesso consistenti; la lieve presenza degli astringenti tannini si stempera nella soavità del frutto; in bocca rimangono ricordi di freschezza accompagnati da sensazioni vellutate. 92/100

Ostrica marinata con marmellata di fichi, pepe Sechuan, olio e salvia in tempura: la sapiente esaltazione della dolcezza della marmellata contrasta con il sapore marino dell'ostrica e l'aroma dell'olio, appena aromatizzato dal pepe; la salvia costituisce un vero e proprio controcanto, così croccante e saporosa. 94/100

Marinara in foglie con verdure croccanti, olio, basilico, cozze e ostriche: la tecnica sopraffina di Carlo Cracco compone un piatto semplicemente sorprendente; ridurre i prodotti del mare a sottili fogli croccanti sfida le poche conoscenze tecniche di noi comuni mortali, che rimaniamo basiti ed increduli; è un piatto fresco, balsamico e gustoso, che prepara ad affrontare le portate a seguire. 96/100

Spaghetti di tuorlo d'uovo, funghi porcini e asparagi di mare: non è la prima volta che s'incontrano varianti degli spaghetti, ma questi ci hanno sorpreso per la soavità e la gustosità; la sensazione tattile farinosa, dovuta all'uovo, si stempera velocemente in bocca grazie all'azione dilavante dei porcini e degli asparagi di mare; una preparazione saporosa in puro stile mediterraneo coniugato alla maestria nel lavorare le materie prime, rispettandole ma al tempo stesso reinventandole. 92/100

Ravioli di patate ripieni di broccoletti, affumicati al rosmarino: sostituire la classica sfoglia con una confezionata con le patate non è da tutti, oltre ad essere un'intuizione felice; perciò, t'accosti alle piccole semisfere con curiosità, pronto a manifestare qualche dubbio sulla proposta; mai essere prevenuti, perché il risultato è clamoroso, sottolineato sapientemente dal rosmarino affumicato che sprigiona profumi e sapori balsamici; il delicato ripieno, leggermente speziato, mantiene le caratteristiche del vegetale. 98/100

Uovo e tartufo: la stagione impone l'incontro ravvicinato con il tartufo, che sprigiona tutta la propria potenza quando si sposa con l'uovo; se poi tutto ciò accade per opera del maestro indiscusso del trattamento delle uova, si può immaginare il risultato finale: clamoroso nella sua assoluta semplicità. 93/100

Tartare di Fassona con zucchine e foglie di spinaci spolverate con zucchero a velo: questa preparazione ci ha deluso, perché senza contrasti; dei cinque sapori, mancavano l'acido e l'amaro, il salato era impercettibile, l'umami appena accennato, il dolce preponderante; un piatto decisamente stucchevole, estraneo alle linee guida di questa cucina. 86/100

Rognone al forno con ricci di mare e spugnole: l'apparente semplicità trae in inganno, poiché è sufficiente assaggiare un boccone per essere trasportati in un mondo di sensazioni gustative e tattili; queste ultime colpiscono maggiormente, grazie ai differenti gradi di croccantezza, dal minore del rognone al massimo delle spugnole; l'amarognolo della frattaglia si stempera nel sapore deciso, ma con fondo dolce, dei ricci di mare; la delicata salsa di cottura amalgama il tutto perfettamente; un piatto che rimane nella memoria. 98/100

Babà al sugo d'arrosto con scaloppine di midollo: l'ultimo piatto di questo viaggio gastronomico ha lasciato un ricordo indelebile; soffice, gustoso, imprevedibile il babà si scioglie in bocca e la riempie di sapori che fanno parte della storia della cucina, che rimandano ai tempi dell'infanzia, a quelle piccole trasgressioni benignamente accolte dai "grandi", quando si passava il pane nella pentola dell'arrosto; poi, a contrastare la ricchezza del ripieno, assaggi il midollo, così incredibilmente dolce e sapido al tempo stesso, dal fondo amarognolo e speziato, che approfitta dei sapori decisi del sugo per arricchirsi. 98/100




Un menu degustazione così composto, avendo lasciata piena libertà a Carlo Cracco, non poteva che essere accompagnato da vini adeguati.

Un Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1994 ha aperto la serata ed ha stupito per la sua completezza misurata ed elegante; da uve chardonnay del vigneto Maso Pianizza, maturato per dieci anni sui lieviti, fragrante con sentori di vaniglia, miele e fieno. 91/100

Pinot Bianco Doc Vorberg 1996, Cantina di Terlano: vino giunto a completa maturazione, ricorda fiori di camomilla, mele e pere mature, spezie delicate; sapido, minerale, fresco, con lieve presenza di lieviti di classe. 92/100

Tocai Friulano Jakot 2001, Radikon: ancora giovane, dorato ed imponente per la complessità dei profumi e delle sensazioni che regala; la sottile ammaliante nota ossidativa corona il tutto, si sposa con le note minerali e l'inattesa freschezza. 93/100

Barolo Docg Brunate 1971, Marcarini: uno dei barolo più classici, maturato a lungo in botti di rovere di media capacità, a lungo affinato in bottiglia; caratterizzato dal tipico colore del nebbiolo con sulle spalle un po' di anni, ha presentato inaspettata freschezza ed acidità; i profumi terziari, eleganti ed avvolgenti, hanno conferito note di austerità e di sopraffina eleganza; morbido, setoso, fruttato, al limite della sua vita. 90/100

Abbiamo voluto provare un altro barolo, il Cannubi 1973 di E.Pira: severo e di rara eleganza, tipico nella sua iniziale ritrosia ad aprirsi, ma disponibile ad essere ascoltato con pazienza e concentrazione; una bottiglia pressoché perfetta, ancora con note vinose. 92/100


A conclusione d'una cena di tal fatta, ci si rende conto di come i sensi siano stati totalmente stimolati e saturati, secondo il sottile filo conduttore dell'eleganza, che ha fatto talvolta passare in secondo piano la maestria e la raffinata tecnica di preparare i cibi: anche quando sono stati frutto di profonda ricerca, apparivano per così dire normali e semplici, al punto che veniva spontaneo osservare che non potevano che essere così.
Siamo stati testimoni di una manifestazione di altissima cucina, abbiamo attraversato la cena come se avessimo percorso un'esposizione di opere d'arte, perché Carlo Cracco più che cuoco è un artista, che usa il fuoco ed il cibo al posto dei pennelli o dello scalpello.


I DIFETTI DEL VINO

Ricevo la segnalazione, e la riporto con piacere, di due seminari dedicati ai difetti dei vini riscontrabili attraverso la degustazione organizzati da Vinidea.
Si tratta di un aspetto dell'assaggio che mi sta particolarmente a cuore, oltre che molto interessante.
Ritengo che troppo poco tempo sia dedicato al riconoscimento ed all'approfondimento di questi aspetti e che i diversi corsi che si organizzano tendano a trascurare il fenomeno, fatto salvo, a quanto mi risulta, il Corso per Assaggiatori di Vino dell'Onav - Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino.
Durante i seminari, uno sui difetti ed uno sugli effetti dei brettanomyces, saranno proposti vini contaminati artificialmente in diversa misura, per far comprendere la portata e le cause delle alterazioni.

sabato 11 ottobre 2008

GIORNATA DELLO CHAMPAGNE 2008

Trovarsi al cospetto di più di centocinquanta champagne può intimorire o generare sentimenti d'impotenza, poiché sarà impossibile assaggiarli tutti nell'arco di poche ore con la necessaria, e doverosa, attenzione.
Sotto la suggestiva volta paleoindustriale del Palazzo del Ghiaccio di Milano, alla Giornata Champagne 2008 organizzata dal Centro Informazioni Champagne, emanazione italiana del CIVC - Comité Interprofessionel du Vin du Champagne - queste sensazioni si sono manifestate con gradevole prepotenza e ci hanno obbligato a compiere delle scelte.
Lunedì 6 ottobre s'é deciso di concentrarsi solo sui vini che avevano almeno 10 anni d'affinamento in bottiglia, salvo alcune eccezioni: scelta opinabile, non c'è dubbio, ma utile per comprendere come i produttori affrontino il delicato argomento della maturazione in vetro.

I vini degustati:

  • Bruno Paillard - Millésimé 1996: buona maturazione, acidità equilibrata, lunga ed avvolgente persistenza. 91/100
  • Champion Roland - Special Club de Blanc de Blancs Grand Cru 1999: lo chardonnay esce prepotente, unito a spiccate sensazioni agrumate; l'anidride carbonica sviluppata può risultare eccessiva e non particolarmente gradevole. 88/100
  • De Castelnau - Blanc de Blancs 1998: complesso e ricco, con note raffinate di tostatura e di idrocarburo; rimarchevoli le citazioni di caffé e di cacao, accompagnate da un'imprevedibile liquirizia. 94/100
  • De Saint Gall - Cuvée Orpale Grand Cru Brut 1996: vino superbo, strutturato e già maturo, dona sensazioni fruttate e finemente agrumate, accompagnate da appena percepibili note d'ossidazione; il Rosé aveva impressionato, ma questo millesimato ha entusiasmato. 92/100
  • Fleury - Rosé: vino austero e vinoso, sapido e di raro equilibrio, grazie alla perfetta fusione delle componenti acide con quelle tanniche; elegante e di tutto rispetto. 92/100
  • Françoise Bede - Robert Winer 1996: il pinot meunier, qui intorno al 75/80 %, si fa sentire, conferendo eleganza e morbidezza; la coltura biodinamica aggiunge note fruttate e lievemente ossidative, arricchite da fuggevoli sensazioni legnose dovute alla lavorazione compiuta totalemente in barriques. 93/100
  • Henriot - Cuvée des Enchanteleurs 1995: al naso presenta ricchezza e complessità, che in bocca si propongono in tono minore; vino di grande struttura, anche se ha un poco deluso. 89/100
  • Jacquesson - Rosé Brut 1997: il 25% di pinot nero conferisce note tanniche sorprendenti che fanno di questo vino un rosé elegante, sottile ed insinuante; sapido e ricco, equilibrato e suadente, appena vinoso, amarotico, netto e con tendenza al vellutato. 94/100
  • Lanson - Gold Label Vintage 1998: di media complessità e tutto sommato deludente, con note eccessivamente saline. 84/100
  • Pol Roger - Brut Vintage 1999: ricco e decisamente corposo dalla ruvida personalità dovuta alla tannicità, tuttavia equilibrata e gradevole; le sensazioni agrumate e di lievito s'accompagnano a note di liquirizia sorprendenti. 90/100
  • Vilmart - Grand Reserve Premier Cru: maturato per 10 mesi in grossi fusti di rovere e almeno due anni sui lieviti, composto da pinot nero al 70% e Chardonnay al 30%; abbastanza elegante e fruttato con finale amarotico. 83/100
  • Vilmart - Grand Cellier D'Or Premier Cru 1991: l'80% di chardonnay si fa sentire in tutta la sua pienezza; lavorato interamente in barriques, riposa sui lieviti per 4 anni; grasso ed opulento, tuttavia sottile, manifesta l'inizio della parabola discendente: 91/100

mercoledì 1 ottobre 2008

UNA NUOVA "APPELLATION" ?

Sull'ultimo numero di Focuswine, quotidiano on line del famoso Corriere Vinicolo della U.I.V. - Unione Italiana Vini - è riportata una notizia singolare, che vale la pena sia divulgata e che riporto di seguito.

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Francese rompe tabù dei tabù: il suo vino è un 'vin de merde'

Genio o semplicemente uomo fortunato? Questo il dibattito scatenatosi in rete dopo che un ristoratore del Languedoc, tal Jean-Marc Speziale, ha chiamato il suo vino semplicemente così: “Vin de merde”.
Cinquemila bottiglie andate quasi tutte esaurite in un batter d’occhio, ma quel che più conta un clamore inimmaginabile a livello internazionale, in quanto di lui si stanno occupando siti non solo francesi, ma anche di là dell’oceano, persino in Giappone.
Alla domanda più scontata: perché?, Speziale ha risposto candidamente: “La nostra zona aveva bisogno d’attenzione, e questo ci dà la possibilità di far capire che in Languedoc si fanno ottimi vini, a dispetto di quel che si dice in giro”.
E qui la questione si fa seria, perché proprio il Languedoc, con oltre 4.300 richieste d’espianto per una superficie di 14.700 ettari, si è guadagnata il triste primato di regione francese che più ha aderito a questa misura, assommando il 65% del totale nazionale (pari a 22.654 ettari).
Chissà se l’operazione avrà ritorni ben più ampi per la regione, cosa di cui si può fin da subito dubitare.
Quel che è certo è che il signor Speziale sta vivendo il suo momento di gloria, e starà solo a lui adesso gestirlo al meglio.
Tornando al “vin de merde” (una vera e propria "appellation d'origine incontrôlée", come è stato ribattezzato), si tratta di un rosso e un rosato a base di Syrah e Grenache noir, annata 2007, venduto al dettaglio a 39 euro la cassa da sei bottiglie, e ha un’altra particolarità, che serve a far ben capire, anche ai più scettici, che non si tratta di refuso: su un angolo dell’etichetta campeggia un moscone azzurro e sotto l’emblematica frase: “Il peggio nasconde il meglio”.

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Agli amici che seguono questo blog lascio ogni commento.

domenica 28 settembre 2008

LA FILOSOFIA DI AEPICURUS

Non è facile poter definire la piacevolezza di un cibo, pasto o locale, poiché i gusti sono strettamente individuali e, proprio per questo, differenti.

Esistono, però, alcune indicazioni che possono essere utili per esprimere un giudizio, parametri determinati da considerazioni relative alla composizione dei piatti, al loro susseguirsi nell'ambito di un menu guidato o perché scelti secondo l'ispirazione del momento.

La cucina contemporanea s'è evoluta all'insegna della leggerezza, essendosi liberata dei componenti grevi e di problematica assimilazione; solo la cucina cosiddetta tradizionale, che comprende quella regionale, sembra restia ad alleggerirsi, forse perché ancora legata a ricordi storici di passata penuria alimentare e di ristrettezze economiche.

I più accorti e sensibili cuochi d'oggi dimostrano un rinnovato, profondo rispetto per le materie prime, al fine d'esaltarne le caratteristiche organolettiche; oltre alla scelta accurata per quanto riguarda sia la freschezza sia la provenienza, particolare attenzione è riservata ai tempi e metodologie di cottura, quando non sono proposte crude.

La cucina s'è spesso trasformata in una sorta di laboratorio, con l'introduzione d'attrezzature e metodologie mutuate da discipline differenti, quali la chimica e la fisica; ma non è forse sempre stato così? Si lavorava sulla base d'esperienze secolari, senza conoscere reazioni o modificazioni di stato, perché il prodotto finale doveva essere, semplicemente, "buono".

Aepicurus tiene in considerazione la digeribilità delle preparazioni - la leggerezza! -, l'accostamento degli ingredienti, le sensazioni tattili percepite in bocca, i profumi ed i sapori propri d'ogni elemento presente nel piatto; desidera segnalare e valorizzare quella cucina che regala emozioni e che rimane nella memoria.

Quel modo di preparare i piatti che fa desiderare di gustarli tutti i giorni, spesso, ogni tanto, una volta l'anno, mai.

L'ambiente ed il servizio contribuiscono alla valutazione, poiché sono il necessario contorno a ciò che è portato in tavola e contribuiscono alla sensazione di piacevolezza; la carta dei vini può non essere necessariamente ampia, bensì deve essere meditata e coerente con le proposte della cucina.

Per dare un'idea immediata di come sia stato valutato, ogni locale è contrassegnato da un'icona, il calendario, di diverso colore, che ricorda:




Ad ogni preparazione è dato un punteggio, espresso in centesimi, secondo il seguente criterio:
meno di 75
inqualificabile, piatto sbagliato
75 - 79
non suscita particolari emozioni o piatto da grandi pretese non riuscite
80 - 85
suscita qualche interesse, corretta esecuzione o pretese a metà strada
86 - 90
interessante, corretta esecuzione, ben costruito e assemblato, gustoso, buona materia prima esaltata dalla cottura e dagli accostamenti; pretese coerenti
91 - 95
uscita grand’emozione, rimane in memoria per l’armonia e l’equilibrio della sua realizzazione; basilare la parte estetica e l’impronta personale dello chef
96 - 100
suscita un’emozione indelebile, colpisce il palato, il cuore e la mente, è un’opera d’arte

I vini degustati sono valutati secondo la scheda Onav - Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino - con voto espresso in centesimi.

mercoledì 24 settembre 2008

DUE STELLE SUL LAGO


Ristorante Villa Crespi
Via G. Fava 18
Orta San Giulio, NO
Tel. 0322 911902
http://www.lagodorhotels.com/



L'onda lunga dei sapori marini raggiunge le sponde del Lago d'Orta: Antonio Cannavacciuolo è qui approdato anni fa da Napoli, portando l'amore per i sapori mediterranei e la maestria nel saperli accostare.
La Guida Michelin gli assegna due stelle, ma siamo convinti che sia stata avara; d'altra parte, Antonio la terza l'ha già: sono i suoi clienti affezionati che percorrono chilometri per sedersi alla sua tavola.

Immmerso in un parco che dolcemente degrada verso il lago, un imbarazzante esempio di architettura orientaleggiante offre 14 stanze fiabesche e custodisce questa perla gastronomica; in sala regna l'affabile Cinzia, moglie e musa ispiratrice di Antonio, coadiuvata da uno staff efficiente e discreto.

Dopo un fresco aperitivo a base di Champagne Billecart Salmon e fantasiosi stuzzichini, gustato in giardino, ci siamo affidati alle mani del cuoco, che ci ha preparato il seguente percorso:




  • Espressionismo di seppia: una tartare di seppia adagiata su una gelatina al nero; il dolce s'incontra con il sapore di mare della gelatina e con due minuscoli tentacoli appena scottati; la prima onda marina! 93/100



  • Ostrica, caviale e champagne: la spuma di champagne corona ed esalta i sapori decisi dell'ostrica e del caviale. 92/100



  • Crudo di gamberi, caviale, crema di tuorlo d'uovo di Paolo Parisi e asparagi: un piatto emozionante, sia per l'intuizione felice degli accostamenti sia per l'emulsione di uovo sulla quale sono adagiati alcuni gamberi rossi di Sicilia, saporosi e croccanti. 95/100



  • Spiedino capesante e scampi, cipollotto al limone, infuso di mela verde e sedano rapa: un piatto ove le componenti dolci e quelle acide si sposano completamente, pur alternanadosi nell'essere percepite e gustate; perfetta la cottura delle capesante, grazie anche alla qualità della materia prima; l'infuso di mela verde accresce la freschezza e pulisce la bocca perfettamente. 93/100



  • Crema di burrata, scarola alla partenopea, alici marinate e cialda di polenta: le temperature differenti generano sensazioni tattili a cascata, sorprendenti, come la delicatezza delle alici; apprezzabile la cialda di polenta, omaggio alla nuova patria del cuoco. 95/100



  • Cubo di carne di "Boves", caviale, salsa alla lemon-grass e cipolla marinata: un dado di carne cruda che si scioglie in bocca, succulento e in dolce contrasto con le presenze acide e fresche. 91/100



  • Gnocchetti di baccalà, alghe marine e tartufi di mare: minuscole biglie bianche frammiste a scampoli marini riportano indietro nel tempo, fanno rivivere sentori quasi ancestrali. 92/100



  • Riso con carpaccio di gamberi rossi di Sicilia, salsa ai limoni di Sorrento: uno dei piatti classici di Cannavacciuolo, che lascia ricordi indelebili. 96/100



  • Ricciola, crema di pomodoro e baccalà, burrata e cima di rapa: il trionfo del mare! 93/100



  • Scamone di vitella di montagna con crema di riso e salsa al midollo: soave, imprevedibile, appena reso saporito dalla riduzione del midollo. 90/100



  • Pastiera napoletana tradizionale e destrutturata: perfetta chiusura in puro stile partenopeo, dai sapori più che tradizionali; preparazione magistrale e rassicurante. 93/100

Un pranzo di questo livello non poteva richiedere che vini adeguati; abbiamo scelto uno Champagne Bollinger RD 1990, sboccato il 26 giugno 2003, maturo, pieno, elegante, avvolgente; la freschezza soave coniugata al giusto punto d'ossidazione arricchiva il corpo e regalava sensazioni indimenticabili di frutta e spezie, di pasticceria sopraffina ed erbe oficinali. 95/100


A seguire, uno Chardonnay 1984 di Terlano, dal colore oro ambrato e dall'ossidazione avanzata anche se gradevole; vino ricco dall'incredibile evoluzione e dal fruttato leggero, vellutato e di lunga persistenza. 88/100

Il terzo vino è stato un Blanc Fumé de Pouilly 2001 di Daguenau, dall'ironica etichetta dedicata ad un grande degustatore francese, Buisson Menard, il nome del quale qui è stato storpiato in "Renard"; la ben nota mineralità del sauvignon blanc si manifesta prepotente, accompagnata dalle note caratteristiche del vitigno; una bottiglia quasi matura. 93/100

Con il piatto di carne ci siamo fatti tentare da un Ghemme 1999 Collis Breclemae degli Antichi Poderi di Cantalupo, decisamente tipico ed austero, dotato d'equilibrata acidità, dal colore leggermente spento, come si conviene. 91/100

Quando è stata portata la pastiera napoletana, la sommelier Sara Orlando ha fatto spuntare dalla cantina una bottiglia di Icewine del Canada, Vineland 2004 da uve vidal; grasso e potente seppur elegante, pastoso e ricco di spezie, mielato e fresco. 92/100


Ma il viaggio enogastronomico non s'è concluso a tavola, poiché è proseguito con una lunga piacevole chiaccherata con Antonio in giardino, per scambiarci impressioni ed esperienze, per ascoltare la sua storia e la sua filosofia gastronomica. Siamo stati partecipi delle ricerche in corso, dei progetti futuri, abbiamo potuto conoscere lo spirito che anima uno dei grandi cuochi italiani.

martedì 23 settembre 2008

UN GIOIELLO MODENESE

Osteria Francescana
Via Stella 22
Modena
Tel. o592 10118

Talvolta ci si chiede se la perfezione sia di questo mondo: può sembrare una domanda sciocca se non inutile, soprattutto quando s'ha esperienza di vita. Ma nella gastronomia ci si avvicina, e di parecchio.
Abbiamo pranzato all'Osteria Francescana, palcoscenico di Massimo Bottura, pluristellato cuoco.
Risulta difficile scrivere qualcosa che altri non abbiano già dichiarato, ma è altrettanto impossibile non esprimere le proprie impressioni suscitate da un incontro d'altissimo livello.

In un ambiente minimalista e raccolto, il personale di sala scivola tra i tavoli con discrezione, guidato da Giuseppe Palmieri, maitre e sommelier di rara competenza: chiedergli informazioni su un vino è come sfogliare un'enciclopedia enoica, ricca di dati ed aneddoti; rimani affascinato, mai annoiato, perché Giuseppe sa essere misurato e discreto.
Ti guida attraverso il menu e la notevole carta dei vini, magari scovando una bottiglia che stava aspettando proprio te.
Per comprendere appieno la filosofia di un cuoco credo che il modo migliore sia di affidarsi ciecamente alle sue scelte; perciò abbiamo optato per il menu degustazione, che ha compreso:





  • Il ricordo del panino con la mortadella: spuma di mortadella, gnocco ingrassato con i ciccioli al forno, aglio sbiancato e pistacchi; titolo perfetto per una preparazione sottilmente intellettuale che veramente fa tornare indietro nel tempo, ai sapori dell'infanzia; felice l'idea di proporre, appena tritati, i pistacchi, assenti nella mortadella. 91/100

  • Croccantino al foie gras rifinito con aceto balsamico extravecchio di mele ricoperto di mandorle e nocciole dolci, salate e amare; sul piatto viene proposto un "passeggino", uno di quei gelati con il bastoncino che sono tornati prepotentemente di moda; ma la sorpresa non finisce qui, perché basta addentare il "gelato" per essere invasi dal delicato sapore del foie gras, freddo, e poi abbandonarsi alla pastosità del boccone; le sensazioni tattili delle mandorle e delle nocciole s'alternano alle leggere sfumature dell'aceto di mele. 97/100

  • Ricostruzione della cesar salad in chiave aromatica: erbe aromatiche e fiori, colatura di alici, parmigiano croccante, uovo embrionale disidratato e aceto balsamico; un classico della cucina internazionale rivisitato, arricchito da ingredienti mediterranei e dall'inserimento inaspettato dell'uovo e del parmigiano reso croccante; ancora una volta il tatto è sollecitato, al fine di aumentare il grado di soddisfacimento. 95/100

  • 5 stagionature del parmigiano reggiano in diverse temperature e consistenze: che dire, se non che ci si trova di fronte al trionfo della territorialità? 93/100

  • Compressione di una pasta e fagioli: questa è la preparazione che rimarrà per sempre nella memoria; ti è porto un bicchiere con elementi stratificati, in diverse varianti di marrone, dal chiaro allo scuro; sei invitato ad immergere il cucchiaino fino in fondo ed estrarre, appena mischiati, gl'ingredienti; scopri i differenti sapori che costituiscono la preparazione e ti rendi conto di come, le altre volte, non hai saputo gustare uno dei piatti più semplici e diffusi della cucina italiana; intuizione felice il proporre una cosa che fa parte della nostra storia. 98/100


  • Tortellino tradizionale cotto nel brodo e servito su una crema di parmigiano giovane: non poteva mancare una dotta citazione di uno dei piatti simbolo dell'Emilia; qui è stato nobilitato, ammesso che si sentisse il bisogno, da poche gocce di brodo che diluiscono la delicata crema del Parmigiano. 90/100


  • Il bollito misto non bollito: cottura protetta dei sette tagli classici a bassa temperatura, ricostruzione della peperonata e aria di prezzemolo; se trovi ben disposti sul piatto dei dadi di carni differenti, mai penseresti di trovarti al cospetto del classico bollito misto all'italiana! la cottura sottovuoto ha mantenuto le caratteristiche di ogni tipologia, esaltandole. 97/100

  • L'orto, una sequenza di verdure, cereali e legumi al confine tra il dolce e il salato: un modo originale, ed azzeccato, per preparare la bocca alle nuove sensazioni del dessert, pulendola con l'aromaticità naturale delle erbe, senza alcuna aggiunta di condimenti, che avrebbero coperto la freschezza dell'orto. 97/100

  • Caldo e freddo di una zuppa inglese: una meditata quantità di zuppa inglese, appena tiepida, è quasi nascosta da una copertina di Linus di alkermes; traslucida e trasparente, si lacera sotto la posata ed in bocca rinfresca; piatto fine ed legante. 85/100

  • Dopo un dessert, in genere, ti offrono la piccola pasticceria, ma questa volta Giuseppe Palmieri ha voluto stupirci di nuovo, poiché ha proposto un culatello di razza nera parmense stagionato 48 mesi; abbiamo accettato, sia perché era impossibile dirgli di no, sia perché ha vinto la nostra innata curiosità; Giuseppe sosteneva che avrebbe pulito la bocca, anche perché lo ha accompagnato con un Sauternes: dobbiamo dire che aveva ragione!


  • Alfine, s'è materializzata sul tavolo una scelta di cioccolatini, tra i quali uno con l'aceto balsamico tradizionale di Modena, accompagnati dalla famosa Torta Barozzi; , prezioso dolce artigianale creato alla fine del 1800 da Eugenio Gollini a Vignola, Modena, in onore del famoso architetto cinquecentesco Jacopo Barozzi, detto il Vignola. 88/100



Abbiamo degustato come aperitivo lo Champagne Jean Veselle Rosé de Saignée: secco, fresco, agrumato, di corpo, elegante; la presenza del pinot nero esce prepotentemente, unita alle sottili presenze del lievito. 90/100

A seguire, lo Champagne Roses de Jeanne, Blanc de Noirs, Cédric Bouchard: una scoperta entusiasmante per la pienezza del corpo unita alla raffinata eleganza; la frutta matura esotica si sposa a delicati ricordi agrumati, ai quali s'aggiungono note di te e di balsamico; l'insieme di aromi perfettamente fusi, anche se individuabili singolarmente, s'accompagnano alla freschezza dei grandi vini della Chamapgne. Questa bottiglia ha accompagnato la prima metà del pranzo, accostandosi molto bene alle diverse preparazioni, anche a quelle più saporite, come il croccantino al foie gras. 96/100


Con le cinque stagionature del Parmigiano, ci è stata suggerita una bottiglia della Mosella, il Wehlener Sonnenuhr Riesling Auslese 1994 di Joh.Jos. Prüm: minerale e vegetale, apparentemente sottile come una lama di rasoio, in realtà potente e raffinato, soavemente aromatico ed avvolgente, nel pieno della sua maturità; talmente ricco e strutturato da essere austero; sensazioni di lime e di fiori d'arancio unite a citazioni tropicali; un vino che può avere ancora parecchi anni davanti a sé. 94/100





Con il culatello stagionato 48 mesi è stato proposto il Sauternes Chateau Suduiraut 1er Cru 1995: si tratta di un accostamento nuovo, che lascia sorpresi e che mina alla base certe convinzioni radicate; la ricchezza del vino, anche se ancora giovane, era stemperata dalla bella acidità e dal dispiegarsi delle caratteristiche tipiche dei grandi cru del Sauternes: semplicemente entusiasmante! 92/100



Concludendo, si può affermare di aver incontrato uno dei maestri contemporanei della grande cucina italiana, profondamente legato alla storia del territorio, capace di cogliere l'essenza della tradizione per proporla condita con guizzi d'intelligente innovazione.

UN RISTORANTE D'ALBERGO A MILANO

Ristorante The Park

Hotel Park Hyatt
Via Grossi 1, Milano
Tel. 02 88211234

Il desiderio di sperimentare e di verificare le voci relative a Filippo Gozzoli, giovane e promettente cuoco, ci hanno indotto a cenare presso il Ristorante The Park, posto all'interno del lussuoso Park Hyatt Milan, a due passi dal Duomo e dalla Galleria Vittorio Emanuele II.
L'ambiente è gradevole, appropriato a quello che si autodefinisce "boutique hotel"; il servizio è abbastanza accurato, l'apparecchiatura della tavola elegante e raffinata.

Il menu comprende 20 preparazioni, che vanno dalla tradizione lombarda agli accostamenti della cucina creativa, suddiviso in "classici italiani", "tradizione lombarda", "nuovi sapori" e "menu degustazione".
Per ogni piatto è suggerito un vino, che si può ordinare a bicchiere: una lodevole iniziativa che ci piacerebbe fosse più diffusa, poiché permette di assaggiare diversi vini e trarre il massimo piacere dalla tavola.

La carta dei vini è ampia, con proposte interessanti, anche se, come al solito, con annate generalmente troppo giovani: sembra che la ristorazione sia tetragona a considerare il fatto che i vini debbano essere venduti quando siano maturi, sia rossi sia bianchi; questi ultimi, soprattutto, risentono della moda-mania del consumatore di richiedere l'ultima vendemmia, nell'errata convinzione che i vini bianchi non sopportino affinamenti in bottiglia.
Abbiamo ordinato:
  • Baccalà affumicato, taccole, salsa all'arancia: gli amanti di questo tipo di pesce chiedono di percepirne il sapore deciso, mentre in questo caso la delicatezza ha trasformato il baccalà in un pesce qualsiasi e l'affumicatura era quasi impercettibile. 78/100

  • Tartare di manzo Fassone, raperonzolo, foie gras e zabaione alla soia: carne ottima e gustosa, flebile nei sapori, con opinabile inserimento della soia. 82/100

  • Rigatoni tiepidi al gratin di ricotta stagionata, ricci di mare e peperoncino: semplice e gustoso, anche se si stenta a riconoscere i ricci di mare, soffocati dalla ricotta. 81/100

  • Spaghetti alla chitarra con "carbonara di mare": incuriositi, ci siamo trovati di fronte ad un piatto banale. 79/100

  • Pescatrice al Pata Negra, rosti di patate, tartare di melanzane: queste ultime hanno completamente annullato la presenza del pesce, appena scottato ma privo di sapori marini. 79/100

  • Crepinette di piccione al tamarindo, cous cous di frutta secca: alla carne cucinata con maestria si contrappone un cous cous abbastanza anonimo, che non si fonde, dal punto di vista organolettico, con la carne. 77/100

  • Dessert: fuori lista, assaggi gradevoli ed equilibrati, ottima la preparazione di quelli al cioccolato. 83/100
Ci siamo fatti tentare da una strepitosa bottiglia di Champagne Philipponnat Clos des Goisses 1991, che ci ha accompagnati per buona parte della cena: un vino pieno, ricco, sfumato, maturo ed elegante, con acidità e freschezza rimarchevoli, accompagnate da note agrumate e di frutta matura. L'annata eccezionale è stata il 1990, ma la successiva è di tutto rispetto. 96/100
A seguire, un Sauvignon blanc della Nuova Zelanda, il Cloudy Bay Marlborough 2001: una delle migliori espressioni di quest'uvaggio a livello mondiale; pieno seppur delicato, con tutti i profumi tipici del vitigno, appena ammorbiditi dal passaggio in piccole botti. 94/100



In conclusione, possiamo dire che i vini hanno compensato, in una certa misura, una cena abbastanza deludente, priva di spunti eclatanti, che non ci ha fatto sognare.
Si potrà obiettare che quest'approccio può essere troppo riduttivo o eccessivamente esigente, ma riteniamo che il cibo debba, come il vino, comunicare emozioni, sia organolettiche sia evocative, soprattutto quando ci si siede alla tavola di ristoranti che ambiscono ad essere blasonati.
Riteniamo che quella dell'Hotel Park Hyatt sia una cucina "normale" con qualche spunto innovativo, poco attenta ai sapori primari e caratteristici delle materie prime, orientata ai gusti di una clientela tendenzialmente non incline ad indulgere ai piaceri del palato, più attenta al contesto architettonico che a quello che si ritrova nel piatto.

lunedì 22 settembre 2008

UN'OASI MILANESE

Ristorante Rovello 18
Via Rovello 18
Milano
Tel. 02 72093709

Cercare a Milano un ristorante che proponga una cucina semplice e gustosa, in una parola onesta, è come avventurarsi nel deserto. Come in quella landa desolata, ogni tanto s'incontra un'oasi; in pieno centro, a pochi passi dal glorioso Piccolo Teatro che fu di Paolo Grassi e Giorgio Strehler, il locale esiste dall'aprile 2002: gradevole, raccolto, ricorda le buone vecchie trattorie milanesi piuttosto che i bistrot parigini. Entri e sei accolto da Gualtiero Panciroli, affabile e cordiale, che ti fa sentire a tuo agio.
Poi, lo sguardo è catturato dall'impressionante mostra di bottiglie, sia di vino sia di distillati; sui tavoli bicchieri di diversa foggia e colori creano un'atmosfera rilassata e giocosa.
Il menu è ricco di proposte eclettiche, mai pretenziose: pesci e carni convivono allegramente con primi che suscitano curiosità e desiderio; ma è la corposa carta dei vini che ti sorprende ed affascina. Si usa definirla spesso "meditata", magari per mascherare scelte opinabili; qui no; ogni bottiglia è frutto di ricerca, passione ed amore; sono rappresentati i produttori migliori d'Italia, taluni poco conosciuti dal grande pubblico, con le annate disponibili sul mercato.

Ci siamo lasciati tentare dai gianchetti fritti in pastella, delicati e croccanti, per nulla unti, seguiti da un piccolo gioiello della cucina langarola, i ravioli del plin in brodo di cappone, confezionati artigianalmente a Barolo, "importati" direttamente da Gualtiero e cucinati magistralmente. È stata poi la volta del tonno appena scottato con salsa alla senape e pepe verde con contorno di agretto (barba del frate); da tempo non assaggiavamo un trancio di tonno così succulento e saporoso, per nulla stopposo, come spesso capita.
Il piatto che più ci ha colpiti è stato il dessert: torta di riso venere con crema pasticcera; esemplare nella sua semplicità e contemporanea ricercatezza, testimonia la creatività di Cinzia Rossi, la cuoca, e del giovin figliuolo Michele De Liguoro, 21 anni promettenti.

Consigliati da Gualtiero, abbiamo stappato una bottiglia di Bianco Kapija 2003, Igt Venezia Giulia, prodotto da Podversic Damijan secondo i dettami della biodinamica, da uve malvasia istriana, chardonnay, tocai. Sapido, minerale, agrumato, lievemente tannico, complesso, a tratti aggressivo, di spessore, certamente impegnativo.
Abbiamo desiderato verificare come si comportava in un'altra annata, tenendo presente i problemi della vendemmia del 2003; il vino del 2004 s'è presentato più beverino e profumato, pur mantenendo le caratteristiche d'austerità.
In chiusura, un bicchiere del sole del Mediterraneo, un Nikà, Passito di Pantelleria Doc 2003, prodotto da Case di Pietra: pastoso, solare, ricco di ricordi isolani.
In conclusione, una serata che ci ha riconciliato con l'avara gastronomia milanese e che ci ha fatto andare indietro nel tempo, quando le "trattorie" erano depositarie della cucina semplice ma con tutte le "cose a posto".

Il ristorante è chiuso solo il sabato e la domenica a mezzogiorno; orari massacranti per lo staff, ma graditi al pubblico dei buongustai, che possono cenare come si deve la domenica sera, quando Milano è pressocché tutta chiusa.

sabato 20 settembre 2008

UN MAESTRO DEL FUOCO


Gualtiero Marchesi
c/o L'Albereta Relais & Château
Erbusco, BS
Tel. 0307 760562
http://www.marchesi.it/



Abbiamo avuto il privilegio di incontrare di nuovo la cucina di Gualtiero Marchesi.
Scrivere qualcosa di nuovo su di lui è praticamente impossibile: esiste il rischio di ripetere frasi altrui o, peggio, di essere banali.
Ma non si può non esprimere la straordinaria avventura sensoriale che si vive esplorando le proposte di un menu che ha le radici nella migliore tradizione gastronomica italiana coniugata alla creatività ed all'uso sapiente del fuoco.
Sì, perchè in un mondo popolato da cuochi ipertecnologici, che utilizzano apparati più o meno sofisticati, senza per altro nulla togliere alle loro ricerche, incontrare chi usa il buon vecchio affidabile controllabile fuoco è un dolce ritorno a quei valori che fanno parte della nostra cultura.

Un piatto per tutti, sorprendente: il rognone a la cocque! Cotto in casseruola, di rame ovviamente, a fuoco lento, avvolto nel suo grasso, ha mantenuto i sapori delicati, dimostrando come un ingrediente povero possa assurgere ai massimi livelli. 95/100

Tra gli antipasti, uno ha raggiunto e superato, se fosse possibile, l'eccellenza: il dripping di pesce, una delle preparazioni classiche di Gualtiero Marchesi. Arriva in tavola un quadro di Pollock!
Un piatto quadrato, nero, ospita un denso laghetto giallo a base di delicata maionese, sul quale galleggiano molluschi saporosi appena scottati; qua e là, gocce sparse verdi, nere e rosse rendono il piatto astratto, che poi si rivelerà terribilmente concreto. Hai quasi il timore di toccarlo, non desideri rovinare l'opera d'arte.
Porti alla bocca una seppiolina minuscola e raschi un poco la superficie del lago, che come per incanto si anima e si modifica, mostrando altri intrecci di colori; e i cambiamenti continuano, man mano che si procede nello smontaggio della composizione, che si deve pur assaporare!
Alla fine, ognuno avrà creato un nuovo quadro ed un nuovo piatto!
E si rimane senza parole, anche perché, nel frattempo, si è completamente assorbiti dalle emozioni che la bocca trasmette. 98/100

Citiamo solo due piatti di un menu ricco ed entusiasmante, perché sono quelli che rimarranno più a lungo nella memoria.
La citazione di un quadro di Pollock è d'obbligo:


I vini sono stati all'altezza, scelti con cura hanno sposato perfettamente le preparazioni.
Un Villa Bucci Riserva 1997, Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Doc di Bucci, per gli antipasti ed i primi, ed un Barbaresco Rombone 1997 Docg di Fiorenzo Nada per i secondi carne.
Il Verdicchio era superlativo, ricco ed elegante, equilibrato e profondo; il Barbaresco coniugava la seta con il fruttato, mantenendo doti di freschezza notevoli.

venerdì 19 settembre 2008

UNA CENA DA AIMO E NADIA

Il Luogo di Aimo e Nadia
Via Montecuccoli 6, Milano
Tel. 02 416886
http://www.aimoenadia.com/


Attratti dalla fama e dalle polemiche seguite al numero di stelle Michelin tolte e ripristinate, abbiamo fatto visita ad uno dei locali storici della gastronomia milanese.
Con tutto il profondo rispetto che nutriamo per chi ha fatto la storia della cucina italiana, ci permettiamo d'esprimere il nostro parere, con umiltà non disgiunta dalla convinzione di avere il diritto di criticare anche i mostri sacri.
Abbiamo trovato una cucina ben curata ma sostanzialmente monocorde, cioé priva di quei guizzi saporosi che provocano e lasciano ricordi indelebili.
Abbiamo scelto il menu degustazione, non addentrandoci nella scelta dei piatti esposti con chiarezza nel menu: se il giudizio tiepido è dovuto al tipo di menu scelto, ce ne doliamo, ma allo stesso tempo rimarchiamo che il menu degustazione è, in genere, il più rappresentativo ed asaustivo di una cucina.

Le preparazioni:


  • Uno stuzzichino costituito da un'alice marinata con ginger e lime, guarnita da pesto di erbette e cuori di carciofi crudi: anteprima delicatissima ed allo stesso tempo ricca di sapori, ove l'alice soave si sposa con la stimolante crema di ginger. 95/100

  • Crema di primizie dell'orto con burrata pugliese: un laghetto verde brillante nasconde la sorpresa della burrata, che sciogliendosi in bocca esalta la lieve aromaticità della crema; un piatto che ricorda i profumi di campagna, che fa ritornare indietro nel tempo, alle fanciullesche puntate nell'orto del nonno; manca tuttavia un qualcosa che stuzzichi le papille e che appaghi, oltre al fatto che forse è una preparazione troppo greve per iniziare un pasto. 84/100


  • Tortelli di farina di grano bruciato ripieni di cicale di mare e ricotta di bufala, conditi con melanzane stufate e calamaretti: un piatto di nuovo delicato, dai sapori marini appena accennati, che lentamente e con difficoltà si sviluppano in bocca; la sfoglia della pasta è gradevolmente ruvida e saporosa, anche se l'avremmo preferita più al dente; il finale leggermente acido rende il piatto gradevole e lo riscatta in parte. 86/100


  • Rombo chiodato con crosta di panzanella con verdure scottate sulla piastra e finocchietto marinato in insalata: piatto "piatto", sia perché il pesce, troppo cotto, non aveva sapore, sia perché manca un qualsivoglia contrappunto saporoso. 82/100


  • L'agnello - lombatina con erbette, filetto, confit e patata ripiena di fegatini d'agnello - con asparago d'Altedo avvolto nel prosciutto crudo di Cormons: ogni tipologia di cottura esalta i sapori che fuoriescono prepotenti dalla carne, ora delicati ora speziati; sorprendente il piacere procurato dai fegatini, per la prima volta assaggiati. Un piatto sapiente. 93/100


  • Assaggi di formaggi - taleggio, caciocavallo, gorgonzola Dop - con mostarda d'anguria fatta in casa: gradevole tris, reso piacevole dalla mostarda che ha in parte nobilitato il piatto; la scelta sottotono dei formaggi, seppur ottimi nella loro tipologia, sconcerta, visto il locale che la propone . 86/100


  • Predessert - raviolo di melone farcito con frutto della passione: due impalpabili fogie di melone, gelate, racchiudono il dolce acidulo del frutto, per pulire e rinfrescare la bocca.


  • Dessert - spuma di formaggi su cialda: è arduo cercare di ricordare quali sensazioni, a distanza di qualche ora, siano state provocate dal piatto, che si potrebbe definire "noioso". 82/100




Nella carta dei vini, curata dall'ottimo Sommelier Federico Graziani, ci si può perdere, talmente è ricca ed articolata; ci ha attratto uno champagne rosato, Larmandier-Bernier, che ha accompagnato i primi due piatti, oltre ad aver assolto la funzione d'aperitivo. Ha un colore rosa vivo, intenso, che ricorda i rosati del Salento; è vinoso, fruttato con ricordi di lampone e di frutti tropicali, tra i quali spicca quello della passione; si nota il melograno ed una lieve tannicità; sorprende la mancanza d'acidità, che rende questo vino piatto ed in parte deludente. 86/100





La carta dei vini ha una sezione dedicata alle bottiglie di una certa età, finalmente! Abbiamo scelto un Soave Classico Doc 1988 dei Fratelli Pra, dal sorprendente colore oro pallido brillante; le note ossidative sono impercettibili, la terziarizzazione è lieve; i profumi di fiori e di frutta fresca sorprendono; in bocca si percepiscono pesca bianca, albicocca un poco acerba, fieno appena essicato, frutta candita e miele di fiori di campo; in bocca è meno ricco che al naso; si direbbe che abbia superato il momento di massimo splendore e stia lentamente scadendo: qualche anno fa sarebbe stato sicuramente eccezionale. 88/100

Con i formaggi è stato servito il Chateau Las Collas 1961 Mouscat-de-Rivesaltes Aoc di Jaques Balbé, un vino fortificato del Sud della Francia ottenuto da due varietà di uve moscato, a grani piccoli o "blanc" e a grani grossi o "romain": interessante, ricco e tostato, aromatico e moderatamente dolce, giustamente ossidato, avvolgente e dall'equilibrata alcolicità; ha letteralmente soffocato i formaggi, escluso l'erborinato. 88/100

Il Luogo di Aimo e Nadia - nel quale il servizio in sala curato dal mâitre Nicola Dellagnolo, coadiuvato dal giovane Alessandro Tapparo, è semplicemente perfetto nella sua puntualità e discrezione - ci ha in parte delusi; ci si aspettava una cucina da ricordare a lungo, piena di emozioni che invoglia ad essere frequentata più volte; abbiamo, invece, incontrato una serie di preparazioni ovattate, quasi monocordi per l'assenza di spunti saporosi; le stesse materie prime, dalla scelta eccellente oltre che freschissime, sono state in parte mortificate, non hanno sviluppato tutto il loro potenziale.
In conclusione, una cucina per certi versi rassicurante nella sua "tranquillità", ma priva di quel qualcosa che la renda unica ed indimenticabile.

giovedì 18 settembre 2008

INCONTRO MEMORABILE

Ristorante Le Robinie
Località Ca' d'Agosto, Montescano PV
Tel. 0385 241529
http://www.lerobinie.net/

Seguendo le indicazioni, da Stradella si raggiunge Santa Maria la Versa e da qui, lungo una strada che taglia i vigneti secondo percorsi sinuosi che invitano a godere del paesaggio, si arriva ad una costruzione in legno, moderna ma inserita armoniosamente nella natura.
Siamo nel regno di Enrico Bartolini, che da poco gestisce il locale.
Arredo moderno, talvolta contradditorio; due sale, delle quali una interamente vetrata che s'affaccia, come prua di nave, sul digradare della collina, interamete vitata; ed in lontananza, a perdita d'occhio, lo stupendo paesaggio dell'Oltrepo segnato dalle viti, così regolari e geometriche, che inducono tranquillità.
Ma le sorprese non finiscono qui, poiché è sufficiente scorrere il menu ampio - non solo per le proposte culinarie ma anche per le ragguardevoli dimensioni del foglio - per comprendere che ci si trova in un piccolo tempio dell'arte dei fornelli. Ben tre menu degustazione sono seguiti dall'elenco di piatti che solo nelle descrizioni creano una sorta d'angoscia, positiva s'intende: non si sa quale scegliere! La carta dei vini è abbastanza ampia ed articolata, con buona scelta di bottiglie italiane e straniere; sorprende la presenza di birre di notevole fattura e la meditata rassegna dei superalcolici.

Si materializza Enrico, al quale chiediamo di farci una panoramica esaustiva della sua cucina: provocato, mascherando la propria felicità con la naturale timidezza, ci dice con fare gentile che ci penserà lui; noi dovremo solo degustare.
Il maitre, Simone Cucchiarelli, è gentile, educato, premuroso, preparato e competente, spiega in modo esauriente i piatti che ti porta; in una parola, un vero completo professionista, come per altro i suoi aiuti.

Abbiamo avuto il piacere di degustare:


Filetto di manzo crudo al coltello con salsa d'uovo al curry e sorbetto di mandorle. Due differenti qualità di curry, una sulla carne e l'altra come cornice alla composizione, alternano le note piccanti a quelle speziate, completandosi a vicenda e sposandosi perfettamente alla succulenza del filetto. 90/100


Rognone arrosto con patata soffice alla verbena. Quattro bocconcini croccanti profumati si aprono inondando la bocca di sapori soavemente aciduli. 88/100
Gnocchi morbidi di ricotta, burro e cavolo croccante. Il trionfo della delicatezza e dell'impalpabile armonia dei sapori semplici; sorprende l'intuizione di usare in modo alternativo questo formaggio. 90/100


Grissini bolliti con salsa cibreo e polvere di salvia. La genialità del cuoco unita al coraggio dell'invenzione! La pasta del pane è brevemente lessata in brodo di cappone, per mantenere la giusta consistenza e per acquisire sapore; i grissini sono posti nel piatto su un velo di salsa cibreo, resa celebre da Caterina de' Medici per averla esportata in Francia in seguito al suo matrimonio con Enrico II. La ricetta rinascimentale è stata destrutturata con sapienza:ai fegatini, creste, bargigli e cuore di pollo sono state aggiunte sottili fette di uova embrionali marinate in aceto e zucchero per eliminare la pellicola. Una preparazione entusiasmante, della quale si conserva a lungo il ricordo delle differenti sensazioni tattili: la consistenza della pasta e la farinosità saporita delle uova. Un piatto che vale il viaggio per raggiungere Enrico, forse l'emblema della sua cucina. 96/100


Riso antico mantecato al gelato di rape rosse e salsa al gorgonzola. Ci ha deluso per l'eccessiva liquidità e per la mancanza di sapori contrastanti; Enrico s'è impegnato a rifarci il piatto un'altra volta e torneremo, non solo per questo. 81/100


Guancetta di vitello con verdure fuori stagione. Il titolo è provocante e la presentazione minimalista lascia stupiti. La croccantezza della carne unita alla ricchezza di umori comunica sensazioni tattili contrastanti ed entusiasmanti, che saturano il cavo orale ed accontentano i sensi. 94/100


Coscia d'oca croccante con patate al fegato grasso.
Preparazione saporosa, equilibrata, speziata, aromatica, completa e complessa. Il fegato aggiunge una nota quasi esotica; avremmo preferito le patate più asciutte, meno banali. 92/100

Ciocco colato e aceto balsamico. Accostamento azzardato che lascia senza parole e con la sensazione di saturazione in bocca. Per noi, amanti drogati del cacao, è stata una sorpresa entusiasmante, che ci ha convinto, se ce ne fosse stato ancora bisogno, delle notevoli capacità dello chef e del pasticcere. 92/100


Crema bruciata con mirtilli ghiacciati e meringhe.
L'ultima struggente sorpresa, perché sotto una crosta di crema caramellata appena tiepida si celano mirtilli saporosi e ghiacciati impreziositi dalla meringa; ancora una volta i semplici ingredienti sono nobilitati dall'accostamento e dalla maestria nel lavorarli. 92/100

Ci hanno accompagnato alcuni vini:
Ci hanno proposto come aperitivo un Metodo Classico Oltrepo Pavese "Le Robinie" 2003, da uve pinot nero clone champagne, leggermete rosato: interessante e sorprendente, sia per la struttura sia per l'equilibrata acidità. Beverino, secco e pulente. S'è accostato anche ai primi due piatti con facilità e soddisfazione. 79/100
Poi, è stata la volta di una Ribolla Gialla Igt 1999 Gravner: minerale, speziata e balsamica, lievemente tannica, ricca ed elegante, anche se un poco timida nell'aprirsi; nel bicchiere, s'è evoluta, aggiungendo sensazioni vegetali e varietali uniche, unite ad un corpo di riguardo ed a ricordi di frutta bianca matura, talvolta candita. Accompagnata agli gnocchi ed ai grissini bolliti ci ha regalato emozioni, che non si sono fatte attendere anche con la guancetta di vitello. 92/100

Di nuovo, ci hanno suggerito un vino che si dimostrerà perfetto, sia come fattura sia come compagno dei piatti a seguire: Tuderi Romangia Doc 2003 di Dettori, un cannonau in purezza, non filtrato, affinato in vasche di cemento ed in bottiglia.
Nonostante la giovane età e l'annata, il 2003 fu un anno torrido e problematico, siamo in presenza di un vino rotondo, vellutato, fruttato, carezzevole ed elegante; le note speziate tipiche del vitigno perfettamente espresse, ma senza quella sensazione greve che spesso accompagna il cannonau. Si deve riconoscere che accostarlo alla guancetta di vitello ad alla coscia d'oca è un'intuizione felice. 90/100

Dopo un pranzo memorabile, abbiamo avuto la possibilità, ed il privilegio, di intrattenerci un poco con Enrico, per conoscerlo meglio e discutere i piatti; dall'incontro scaturisce la ferma convinzione di trovarsi al cospetto di un maestro, con una preparazione tecnica di tutto rispetto e con notevoli potenzialità. La scelta delle materie prime, le cotture sapienti e la cura scrupolosa delle composizioni testimoniano il profondo rispetto per i prodotti e la vasta cultura, non solo gastronomica. Ci ha colpito la modestia e la disponibilità a discorrere delle preparazioni, il desiderio costante d'imparare e perfezionarsi.
Enrico Bartolini si muove leggero come una piuma tra le preparazioni, crea una cucina sottile ed elegante, ordinata e sorprendente, ma - pare una contraddizione - rassicurante.

BRUNELLO: UNA STORIA INFINITA ?

Riporto uno scritto di Angelo Gaja.

Il caso Brunello di Montalcino
Nella decade sessanta i vigneti di Sangiovese atti a produrre Brunello di Montalcino non raggiungevano i 60 ettari, i produttori una ventina, le bottiglie prodotte non più di 150.000; nello stesso periodo gli ettari piantati a Nebbiolo nell’area del Barolo erano 500, 115 i produttori/imbottigliatori, 3.000.000 le bottiglie di Barolo prodotte annualmente. Mentre però il Barolo non aveva un leader il Brunello di Montalcino aveva già in Biondi Santi un padre fondatore, l’artigiano che nel tempo aveva tenuto altissima la bandiera della qualità e del prezzo di un Brunello aristocratico, raro, prezioso, alla portata soltanto dei pochissimi che se lo potevano permettere.

E poi arrivò Banfi
Per capire come sia esploso il fenomeno del Brunello di Montalcino non si può prescindere da Biondi Santi e da Banfi. Banfi, di proprietà dei fratelli americani Mariani distributori di vini sul mercato USA, innesca nella rossa Montalcino il sogno americano: il futuro è vostro amico, crescete e moltiplicatevi.
L’avventura inizia con una serie di errori clamorosi.
Con il benestare delle amministrazioni locali e dei sindacati agricoli i siti da destinare a vigneto vengono letteralmente stravolti, boschi e querce secolari abbattuti, colline abbassate di decine di metri…; con l’assistenza dei guru della viticoltura vengono introdotte tecniche colturali che stanno agli antipodi della coltivazione accurata della vite; anziché piantare Sangiovese per produrre Brunello di Montalcino vengono piantati 500 ettari di Moscadello per produrre una specie di lambrusco bianco che non avrà successo. L’impresa sembrava volgere verso un fallimento clamoroso.
E invece, miracolo, dopo lo sbandamento iniziale Banfi prende atto degli errori commessi, attua con tempestività la riconversione dei vigneti, punta con grande decisione alla produzione del Brunello di Montalcino e diventa il motore trainante della denominazione costruendo sul mercato USA, il più importante al mondo per i vini di immagine e di pregio, una forte domanda che ben presto ricade sugli ignari produttori di Montalcino e si propaga in tutto il mondo.

Nessun’altra DOCG italiana ha la fortuna di avere un leader storico ed un leader di mercato come il Brunello di Montalcino. Grazie ad essi montò l’interesse, da parte di produttori/investitori italiani ed esteri, di venire a tentare l’impresa a Montalcino contribuendo così a consolidare la straordinaria spinta di crescita e di affermazione della denominazione sui mercati internazionali.

Oggi gli ettari di Nebbiolo iscritti all’albo del Barolo sono 1.800 mentre quelli di Sangiovese riconosciuti idonei alla produzione del Brunello sono diventati 2.000 - e sì che i produttori hanno cercato di frenarne la corsa introducendo il blocco degli impianti – 250 i produttori e 7 milioni le bottiglie prodotte annualmente.

E’ stato da più parti fatto osservare che la maggioranza dei nuovi vigneti non possiede caratteristiche pedoclimatiche tali da assicurare al Sangiovese di esprimere vini di eccellenza e si è lamentata la mancata zonazione (catalogazione scientifica dei terreni con la delimitazione di quelli vocati e di quelli no): ma la zonazione in nessuna parte del mondo – ad esclusione forse della Borgogna che riconosce però non una, ma oltre cento denominazione d’origine diverse - è diventata il principio ispiratore dei disciplinari di produzione. Meno che mai in Italia ove si è più propensi a coltivare la solidarietà e la compiacenza.

Oggi a Montalcino c’è una minoranza di produttori che gode di un doppio privilegio: di avere vigneti iscritti all’albo ed in più di possedere vigneti di Sangiovese altamente vocati capaci di esprimere vini di eccellenza. E poi esiste una maggioranza di produttori che gode a pieno titolo soltanto del primo privilegio. Sia dagli uni che dagli altri i consumatori si attendono un Brunello di Montalcino di elevata qualità.

Il disciplinare di produzione, redatto nella decade sessanta, quando gli ettari iscritti all’albo erano ancora una sessantina, impone il 100% di Sangiovese per la produzione del Brunello di Montalcino. Con l’esplosione della superficie vitata la maggioranza dei produttori in possesso di vigneti di dubbia vocazione avvertiva la necessità di migliorare la qualità dei loro vini e apparve ai più evidente che l’imposizione del 100% di Sangiovese risultasse penalizzante.
Si ritenne che il miglioramento genetico del Sangiovese attraverso la selezione clonale e l’introduzione di nuove tecniche di vigneto e di cantina avrebbero cambiato la situazione, mentre invece la questione resta sul tavolo oggi come allora.

Se le indagini che la magistratura ha in corso accertassero l’impiego di varietà diverse dal Sangiovese per la produzione del Brunello di Montalcino, la mancanza più grave commessa dai produttori sarebbe stata a mio avviso quella di non essersi adoperarti prima per modificare il disciplinare di produzione e rimuovere il vincolo del 100% di Sangiovese.

Voglio ricordare che il disciplinare del Rosso di Montalcino è ancora più inadeguato, presuntuoso e fuori del tempo. I disciplinari di produzione si possono modificare ed il compito spetta esclusivamente ai produttori. Ad ostacolare la modifica del disciplinare è il conflitto di sempre tra i produttori artigiani ed i produttori di grandi volumi, ispirati come sono a filosofie di produzione e a strategie di vendita diverse.

Se si guarda però allo strepitoso successo del Brunello di Montalcino, occorre riconoscere che è nato dall’azione sinergica degli uni e degli altri, che gli uni e gli altri sono stati preziosi nel procurarlo e consolidarlo.
Ho letto che si ritiene inadatto ora un intervento atto a modificare il disciplinare di produzione del Brunello di Montalcino, quando l’indagine avviata dalla Magistratura è ancora in corso. A mio avviso è invece arrivato il momento di pensare seriamente al dopo cominciando dalla modifica del disciplinare; essa richiede coraggio, tolleranza e rispetto reciproco da parte dei produttori.

Occorre individuare una formula che consenta agli artigiani di esprimere nei loro vini la straordinaria dignità del Sangiovese e di poterla dichiarare in etichetta rendendo così riconoscibile la loro fedeltà al 100% della varietà, ed ai produttori di grandi volumi di poter operare con maggiore elasticità: e tutti e due i vini debbono potersi fregiare del nome Brunello di Montalcino".

Angelo Gaja
26 agosto 2008

sabato 13 settembre 2008

VINI DI UN ALTRO MONDO


Sì, i vini aromatizzati fanno parte di un altro mondo sensoriale, al quale non si è molto abituati, anche se spesso li beviamo, ma distrattamente, senza soffermarci e soprattutto senza conoscerne la storia.
Sono vini che hanno antichissime origini, intorno alle quali non tutti sono d'accordo, principalmente perché mancano documenti attendibili; ci si accontenta di supposizioni e deduzioni, essendo ognuno certo che la propria visione sia quella giusta.
Non desidero entrare nel dibattito, ma riportare alcuni dati, che sembra siano sicuramente certi.
Fu ben presto notato, dai nostri antenati, che da certe erbe si potevano trarre sostanze che giovavano alla salute e fu altrettanto riscontrato che l'alcol ne esaltava l'effetto; non sappiamo chi per primo giunse a confezionare un infuso idroalcolico di erbe medicinali - appunto! -, ma conosciamo l'attività di Ippocrate, dei medici dell'antica Roma, della Scuola Salernitana, delle pratiche curative dei dottori arabi del Mille; siamo di fronte ad una tradizione che è giunta sino a noi, talvolta trasmessa oralmente, talaltra mantenuta segreta, racchiusa tra le mura di monasteri e nei retrobottega di erboristi-farmacisti.
L'evoluzione della medicina e dei sistemi di cura ha messo in secondo piano questi prodotti, riservando loro il ruolo di blandi corroboranti o digestivi; gli aspetti organolettici hanno fatto poi il resto: oggi li si beve perché piacciono o perché sono entrati nel vasto mondo delle abitudini, come i vermouth.
Esistono altri vini, che non hanno mai avuto la pretesa di essere medicinali, ma semplicemente di essere gradevoli, ottenuti con componenti vegetali, fiori e frutti, di facile reperimento, quando non altrimenti utilizzabili: quest'ultimi hanno certamente origine dalla cultura contadina, adusa da sempre a sfruttare tutto ciò che offre la terra.

Una pillola storica
Il vermouth, o vermut, è un vino ippocratico - vino con aggiunta d'infuso di spezie - nato in Italia, intorno alla prima metà del 1700, ma porta un nome straniero. Due sono le teorie: la prima sostiene che il termine derivi dall’erba aromatica più importante nella sua preparazione: l’artemisia, chiamata in tedesco “wermut”; l’altra è legata a Luigi XIV, che aveva l’abitudine di sorseggiare un rosolio - Ros-Solis -, preparato appositamente da un confettiere piemontese. La bevanda. diventata di moda fra gli ufficiali dell’esercito reale durante gli spostamenti in Germania, nel linguaggio militare cambiò il suo nome in “Vermuth” da “Wehr”(armata) e “Mut”(coraggio).


Tenendo conto di queste stringate considerazioni, riporto le impressioni generate dalla degustazione di 8 prodotti, di fattura ed origine differenti, con la precisazione che i voti espressi devono essere considerati con beneficio d'inventario, essendo estremamente difficile, se non impossibile, applicare a queste bevande i criteri usuali; sono valutazioni squisitamente personali, dettati dal gusto e dalla piacevolezza.

Le Villacce - Vino e visciole - Maurizio Manni, Lunano PU: a base di vino sangiovese, è prodotto fin dai tempi del Duca Federico di Montefeltro; presenta un bel colore rosso rubino vivo; i profumi della visciola si sposano a quelli del vino ed il frutto è nettamente percepibile in bocca; la tannicità e l'amarognolo sono dovuti soprattutto alla presenza dei semi del frutto posto in infusione; grasso e dolce, delicato, con buona acidità, a lungo persistente. 83/100

Visciolata - Vino e visciole - Michele Massaioli, Pergola PU: il vino vernacolo, nome locale dell'aleatico, è stao fatto fermentare con le ciliege selvatiche, per ottenere una bevanda eterea, dal netto profumo di visciola, di foglie secche e di fumo; percepibile la presenza di componenti iodate, causate dalla leggera ossidazione dell'alcol; la limitata acidità e la componente dolce fanno sì che sia ababstanza stucchevole e poco elegante. 78/100

Feuilles de cerises Passione - Ratafià - Coima, Bastia RA: prodotto secondo una ricetta del 1797, impiega solo le foglie dei ciliegi coltivati nella Riserva Naturale di Villa Romana a Russi, in provincia di Ravenna; il vino base è il cabernet di Romagna; il colore rosso rubino porta tracce di ossidazione, che sono riconoscibili al gusto; spezie tropicali, cannella, lauro e pepe si mescolano alle note metalliche; intenso ma poco elegante, possiede eccessiva alcolicità, che tuttavia non impediscono la lunga persistenza degli aromi. 80/100

Passione Rossa - Buttafuoco chinato - Franco Pellegrini, Canneto Pavese PV: Fine, elegante, aromatico, con profumi di china e di rabarbaro, uniti a sentori di legno secco; rotondo e persistente in bocca, gradevole e molto persistente, vinoso; si può definire vino rilassante, da fine serata, da centellinare con tranquillità, magari riandando ai momenti piacevoli trascorsi. 85/100

Rabarmasino - Rabarbaro - Regia Farmacia Masino, Torino: ad un ottimo vino bianco siciliano, del quale non è dato sapere, sono ste aggiunte le radici del rabarbaro e della genziana, più estratti di boldo e assenzio; prodotto in quantità limitata fino dal 1667, è un ottimo aperitivo-digestivo; nonostante la percepibile presenza dell'alcol - 15% - è elegante e molto speziato; oltre agl'ingredienti di base, si percepiscono la cannella, lo zafferano, il macis, il pepe bianco e rosa; ha lunghissima e gradevolissima permanenza; le note amare sono sapientemente bilanciate dalla presenza dello zucchero; un vino medicinale in realtà molto poco medicinale e molto beverino. 90/100

Vermouth Classico - Martelletti, Cocconato d'Asti: l'ottimo moscato d'Asti conferisce uno splendido colore giallo zafferano ossidato; sono presenti i tipici profumi dell'assenzio, o artemisia, e delle scorze degli agrumi, insieme alla china ed a spezie d'oltremare; in bocca predomina l'assenzio, che si presenta con fresche note mentolate; elegante, agrumato e vanigliato; il delicato sentore amaro chiude un panorama gusto-olfattivo decisamente complesso. 90/100

Barolo Chinato - Cappellano, Serralunga d'Alba, CN: a detta di molti, si è in presenza del vero barolo chinato: di certo, sono sorprendenti l'eleganza e la perfetta mescolanza delle spezie, annegate in un colore rosso vivo con riflessi granata; vinoso, denuncia l'origine del nobile vino; tannico, morbido, avvolgente, balsamico; le note dolci molciscono l'amaro della china per generare una lunghissima, disarmante persistenza. 92/100

Ippocrasso - Vino aromatizzato alle spezie d'Oriente - Luigi Spertino, Mombercelli AT: al Barbera d'Asti Doc di Luigi Spertino sono aggiunte spezie preziose ed erbe aromatiche, secondo un'antica ricetta medievale, appena rivisitata; il pepe, nelle sue differenti varietà, la fa da padrone, rendendo questo prodotto quasi eccessivo; le note fresche di salvia, rosmarino, scorze essicate di agrumi aumentano la potenza e prolungano la persistenza; un vino aromatizzato irruente, di non facile apprezzamento, anche se interessante come reperto storico. 88/100

VINI DELLA RIOJA


Non capita spesso di poter assaggiare vini che sorprendono: m'è capitato alcuni giorni fa, quando, presso l'Enoteca Ronchi di Milano, ho incontrato Maria Lopez de Heredia ed i suoi vini.
Simpatica, preparata ed innamorata delle sue bottiglie, ha saputo trasmettere la passione che anima questa famiglia da più di un secolo e che rappresenta una delle migliori espressioni di questa regione.
Vini possenti, ottenuti da vitigni vecchi di decine d'anni, lentamente affinati in piccole botti a lungo riutilizzate, che imbottigliati riposano per anni in cantine suggestive; pochi sono gl'interventi dettati dalle tendende moderne, poiché è preferito lasciare che la "natura" - si fa per dire - faccia il suo corso.
Sorprendente è il corpo che accomuna le diverse tipologie, unito alla leggerissima ossidazione che conferisce note d'eleganza, aumentando il piacere dell'assaggio, ed alla quasi impercettibile sfumatura legnosa.

Sono stati degustati, nell'ordine:




  • Viña Tondonia Rosado 1997, da uve garnacho e viura, imbottigliato nel 2002: il colore pelle di cipolla rosa sfuma nel giallo oro, conferendo al vino un aspetto sorprendente; che si applica alle sensazioni percepite dal naso e dalla bocca: profumi di frutta matura, rosa appassita, pasticceria insieme a lievi note ossidative; l'ottima acidità s'unisce alla pesca, che prima si percepisce acerba e poi si trasforma in confettura; la sensazione minerale accompagna note di liquirizia appena accennate; secco, di buon corpo, di lunga persistenza.
    Un rosato sorprendente, più simile a quelli francesi che non a quelli pugliesi. 85/100


  • Viña Cubillo Tinto Crianza 2002, da uve tempranillo, garnacho, graciano e mazuelo, affinato per tre anni in barrique; rosso rubino vellutato ed ambrato, dona profumi di ciliegia, mora, prugna uniti a quelli di una crostata di frutta rossa; leggermente tannico, minerale, fruttato, sapido, gradevolmente acido e fresco, con sottili note d'affumicato; vino giovane ed abbastanza beverino, con un futuro certo. 85/100

  • Viña Bosconia Tinto Crianza 2002: prodotto con alta percentuale di tempranillo, dopo cinque anni di permanenza in barrique si presenta con un rosso rubino dalle sfumature aranciate; decisamente vinoso, ricorda la liquirizia, i fiori secchi, la frutta conservata sotto spirito; la finezza olfattiva s'accompagna ad una buona eleganza, con tannini equilibrati che si stanno ammorbidendo; di buon corpo, è netto, setoso, vinoso, giustamente acidulo e fruttato, appena speziato; è di lunga permanenza e di ottimo equilibrio. 86/100


  • Viña Tondonia Tinto Reserva1999: al tempranillo, in maggioranza, è stata aggiunta una piccola percentuale di viura, che tende a stabilizzare il colore nel tempo; il colore vivo prepara a degustare un vino rotondo, ricco, elegante, abbastanza morbido e vellutato, reso accattivante dalle leggere note di tostatura. 88/100


  • Viña Bosconia Tinto Gran Reserva 1981: per questa grande annata nella Rioja, la garnacho è aggiunta al tempranillo, conferendo aspetti di velluto e di vinosità; pulito, netto, esteso e soave al naso, è in bocca che sviluppa la potenza: di lunga persistenza ed elegante, coniuga il goudron alla liquirizia, le sensazioni minerali ai tannini morbidi e vellutati; la corretta acidità lo rende gradevolmente fresco. 88/100


  • Viña Tondonia Tinto Gran Reserva1987: tempranillo 75%, garnacho 15%, mazuelo 5% e graciano 5% sono mescolati e dosati sapientemente in questa bottiglia dal naso pulito, netto, senza sbavature, ricco e morbido, suadente, quasi etereo; è un vino che si può definire solare ed immediato, poiché riesce a trasmettere al primo approccio tutte le proprie caratteristiche: velluto, minerali, frutta, goudron, liquirizia; di raro equilibrio, elegante ed avvolgente, sazia e lascia la bocca netta e setosa; possiede una vena di dolcezza che lo rende carezzevole; di lunghissima persistenza, si candida ad essere un vino da conversazione. 90/100


  • Viña Tondonia Blanco Gran Reserva1989: affinato in barrique per circa dieci anni e travasato due volte l'anno, non filtrato, presenta sottili ed eleganti note ossidative che arricchiscono il panorama gustativo; la viura è unita al 15% di malvasia, al fine di ottenere una sottile aromaticità; sorprende il colore oro vivo in un vino di questa età, così come sorprendono i profumi di frutta, in parte fresca; poi si sviluppano le citazioni di fiori secchi, fieno, banana, conclusi dal netto sentore di uva; compare la violetta accompagnata da un che di salmastro; straordinaria è la rispondenza naso-bocca, arricchita dalla componente dolce-amara delle mandorle e della noce; le leggere note affumicate viaggiano di pari passo con quelle minerali ed aromatiche, quasi balsamiche; molto fine ed legante, pulisce il cavo orale con equilibrata acidità e impercettibile tannicità, persiste a lungo. 90/100


  • Viña Tondonia Tinto Gran Reserva1981: rispetto alla vendemmia 1987, presenta le stesse caratteristiche, ma più evolute e accattivanti; le note di salmastro sono più evidenti, curiosamente unite ai tannini vellutati. 92/100

A conclusione, si può affermare che ci si è trovati al cospetto di vini che hanno fermato il tempo, perché lavorati secondo tecniche ed usanze che fanno riferimento alle tradizioni dell'arte di fare il vino, nel profondo rispetto dei tempi della natura.


Immagini delle vigne e dei vini degustati.









venerdì 8 agosto 2008

STORIE DI TAPPI - 2


Qualche giorno fa ho avuto tra le mani una bottiglia con chiusura "alternativa": il tappo non era di sughero, bensì di vetro.
Sapevo che da tempo esisteva questo sistema, lo avevo visto qualche anno fa al MiWine come prototipo-novità, ma non avevo ancora incontrato una bottiglia commercializzata chiusa in questo modo.
Devo ammettere che è gradevole, anche se un poco spiazzante, poiché ricorda la chiusura dei flaconi da laboratorio, se non fosse che non è satinato per assicurare la sigillatura; questa, infatti, è assicurata da una guarnizione in materiale sintetico che s'incastra in un'impercettibile sporgenza ad anello all'interno del collo della bottiglia.
Il tappo è tenuto in posizione da una capsula d'alluminio, in verità di non facile apertura, poiché, a dispetto delle intenzioni dei progettisti, necessita di uno strumento: io ho usato la lama del mio fido cavaturaccioli.

Quasto sistema è prodotto in Germania dalla CSI ed ha superato numerosi test (Istituto Geisenheim di Scienza Applicata all'Enologia, Istituto di Stato Oppenheim/Rheinhessen) oltre ad essere stato finanziato dal Ministero dell'Economia dello stato Rhineland-Palatinate.

L'impiego del tappo di vetro, che assicura la tenuta stagna, ha gli stessi risvolti proposti da quelli sintetici (vedi post precedente) e solo il tempo potrà dare delle indicazioni, se non definitive, attendibili.
Di certo permettere di richiudere la bottiglia infinite volte (ma a chi e a che serve, visto che sarà entrata l'aria?) ed è riciclabile più facilmente del sughero, visto che non esiste una raccolta ad hoc di questo materiale.
Sembra di poter affermare che assisteremo a modifiche significative nella produzione dei vini e nell'approccio alla degustazione.