mercoledì 24 settembre 2008

DUE STELLE SUL LAGO


Ristorante Villa Crespi
Via G. Fava 18
Orta San Giulio, NO
Tel. 0322 911902
http://www.lagodorhotels.com/



L'onda lunga dei sapori marini raggiunge le sponde del Lago d'Orta: Antonio Cannavacciuolo è qui approdato anni fa da Napoli, portando l'amore per i sapori mediterranei e la maestria nel saperli accostare.
La Guida Michelin gli assegna due stelle, ma siamo convinti che sia stata avara; d'altra parte, Antonio la terza l'ha già: sono i suoi clienti affezionati che percorrono chilometri per sedersi alla sua tavola.

Immmerso in un parco che dolcemente degrada verso il lago, un imbarazzante esempio di architettura orientaleggiante offre 14 stanze fiabesche e custodisce questa perla gastronomica; in sala regna l'affabile Cinzia, moglie e musa ispiratrice di Antonio, coadiuvata da uno staff efficiente e discreto.

Dopo un fresco aperitivo a base di Champagne Billecart Salmon e fantasiosi stuzzichini, gustato in giardino, ci siamo affidati alle mani del cuoco, che ci ha preparato il seguente percorso:




  • Espressionismo di seppia: una tartare di seppia adagiata su una gelatina al nero; il dolce s'incontra con il sapore di mare della gelatina e con due minuscoli tentacoli appena scottati; la prima onda marina! 93/100



  • Ostrica, caviale e champagne: la spuma di champagne corona ed esalta i sapori decisi dell'ostrica e del caviale. 92/100



  • Crudo di gamberi, caviale, crema di tuorlo d'uovo di Paolo Parisi e asparagi: un piatto emozionante, sia per l'intuizione felice degli accostamenti sia per l'emulsione di uovo sulla quale sono adagiati alcuni gamberi rossi di Sicilia, saporosi e croccanti. 95/100



  • Spiedino capesante e scampi, cipollotto al limone, infuso di mela verde e sedano rapa: un piatto ove le componenti dolci e quelle acide si sposano completamente, pur alternanadosi nell'essere percepite e gustate; perfetta la cottura delle capesante, grazie anche alla qualità della materia prima; l'infuso di mela verde accresce la freschezza e pulisce la bocca perfettamente. 93/100



  • Crema di burrata, scarola alla partenopea, alici marinate e cialda di polenta: le temperature differenti generano sensazioni tattili a cascata, sorprendenti, come la delicatezza delle alici; apprezzabile la cialda di polenta, omaggio alla nuova patria del cuoco. 95/100



  • Cubo di carne di "Boves", caviale, salsa alla lemon-grass e cipolla marinata: un dado di carne cruda che si scioglie in bocca, succulento e in dolce contrasto con le presenze acide e fresche. 91/100



  • Gnocchetti di baccalà, alghe marine e tartufi di mare: minuscole biglie bianche frammiste a scampoli marini riportano indietro nel tempo, fanno rivivere sentori quasi ancestrali. 92/100



  • Riso con carpaccio di gamberi rossi di Sicilia, salsa ai limoni di Sorrento: uno dei piatti classici di Cannavacciuolo, che lascia ricordi indelebili. 96/100



  • Ricciola, crema di pomodoro e baccalà, burrata e cima di rapa: il trionfo del mare! 93/100



  • Scamone di vitella di montagna con crema di riso e salsa al midollo: soave, imprevedibile, appena reso saporito dalla riduzione del midollo. 90/100



  • Pastiera napoletana tradizionale e destrutturata: perfetta chiusura in puro stile partenopeo, dai sapori più che tradizionali; preparazione magistrale e rassicurante. 93/100

Un pranzo di questo livello non poteva richiedere che vini adeguati; abbiamo scelto uno Champagne Bollinger RD 1990, sboccato il 26 giugno 2003, maturo, pieno, elegante, avvolgente; la freschezza soave coniugata al giusto punto d'ossidazione arricchiva il corpo e regalava sensazioni indimenticabili di frutta e spezie, di pasticceria sopraffina ed erbe oficinali. 95/100


A seguire, uno Chardonnay 1984 di Terlano, dal colore oro ambrato e dall'ossidazione avanzata anche se gradevole; vino ricco dall'incredibile evoluzione e dal fruttato leggero, vellutato e di lunga persistenza. 88/100

Il terzo vino è stato un Blanc Fumé de Pouilly 2001 di Daguenau, dall'ironica etichetta dedicata ad un grande degustatore francese, Buisson Menard, il nome del quale qui è stato storpiato in "Renard"; la ben nota mineralità del sauvignon blanc si manifesta prepotente, accompagnata dalle note caratteristiche del vitigno; una bottiglia quasi matura. 93/100

Con il piatto di carne ci siamo fatti tentare da un Ghemme 1999 Collis Breclemae degli Antichi Poderi di Cantalupo, decisamente tipico ed austero, dotato d'equilibrata acidità, dal colore leggermente spento, come si conviene. 91/100

Quando è stata portata la pastiera napoletana, la sommelier Sara Orlando ha fatto spuntare dalla cantina una bottiglia di Icewine del Canada, Vineland 2004 da uve vidal; grasso e potente seppur elegante, pastoso e ricco di spezie, mielato e fresco. 92/100


Ma il viaggio enogastronomico non s'è concluso a tavola, poiché è proseguito con una lunga piacevole chiaccherata con Antonio in giardino, per scambiarci impressioni ed esperienze, per ascoltare la sua storia e la sua filosofia gastronomica. Siamo stati partecipi delle ricerche in corso, dei progetti futuri, abbiamo potuto conoscere lo spirito che anima uno dei grandi cuochi italiani.

martedì 23 settembre 2008

UN GIOIELLO MODENESE

Osteria Francescana
Via Stella 22
Modena
Tel. o592 10118

Talvolta ci si chiede se la perfezione sia di questo mondo: può sembrare una domanda sciocca se non inutile, soprattutto quando s'ha esperienza di vita. Ma nella gastronomia ci si avvicina, e di parecchio.
Abbiamo pranzato all'Osteria Francescana, palcoscenico di Massimo Bottura, pluristellato cuoco.
Risulta difficile scrivere qualcosa che altri non abbiano già dichiarato, ma è altrettanto impossibile non esprimere le proprie impressioni suscitate da un incontro d'altissimo livello.

In un ambiente minimalista e raccolto, il personale di sala scivola tra i tavoli con discrezione, guidato da Giuseppe Palmieri, maitre e sommelier di rara competenza: chiedergli informazioni su un vino è come sfogliare un'enciclopedia enoica, ricca di dati ed aneddoti; rimani affascinato, mai annoiato, perché Giuseppe sa essere misurato e discreto.
Ti guida attraverso il menu e la notevole carta dei vini, magari scovando una bottiglia che stava aspettando proprio te.
Per comprendere appieno la filosofia di un cuoco credo che il modo migliore sia di affidarsi ciecamente alle sue scelte; perciò abbiamo optato per il menu degustazione, che ha compreso:





  • Il ricordo del panino con la mortadella: spuma di mortadella, gnocco ingrassato con i ciccioli al forno, aglio sbiancato e pistacchi; titolo perfetto per una preparazione sottilmente intellettuale che veramente fa tornare indietro nel tempo, ai sapori dell'infanzia; felice l'idea di proporre, appena tritati, i pistacchi, assenti nella mortadella. 91/100

  • Croccantino al foie gras rifinito con aceto balsamico extravecchio di mele ricoperto di mandorle e nocciole dolci, salate e amare; sul piatto viene proposto un "passeggino", uno di quei gelati con il bastoncino che sono tornati prepotentemente di moda; ma la sorpresa non finisce qui, perché basta addentare il "gelato" per essere invasi dal delicato sapore del foie gras, freddo, e poi abbandonarsi alla pastosità del boccone; le sensazioni tattili delle mandorle e delle nocciole s'alternano alle leggere sfumature dell'aceto di mele. 97/100

  • Ricostruzione della cesar salad in chiave aromatica: erbe aromatiche e fiori, colatura di alici, parmigiano croccante, uovo embrionale disidratato e aceto balsamico; un classico della cucina internazionale rivisitato, arricchito da ingredienti mediterranei e dall'inserimento inaspettato dell'uovo e del parmigiano reso croccante; ancora una volta il tatto è sollecitato, al fine di aumentare il grado di soddisfacimento. 95/100

  • 5 stagionature del parmigiano reggiano in diverse temperature e consistenze: che dire, se non che ci si trova di fronte al trionfo della territorialità? 93/100

  • Compressione di una pasta e fagioli: questa è la preparazione che rimarrà per sempre nella memoria; ti è porto un bicchiere con elementi stratificati, in diverse varianti di marrone, dal chiaro allo scuro; sei invitato ad immergere il cucchiaino fino in fondo ed estrarre, appena mischiati, gl'ingredienti; scopri i differenti sapori che costituiscono la preparazione e ti rendi conto di come, le altre volte, non hai saputo gustare uno dei piatti più semplici e diffusi della cucina italiana; intuizione felice il proporre una cosa che fa parte della nostra storia. 98/100


  • Tortellino tradizionale cotto nel brodo e servito su una crema di parmigiano giovane: non poteva mancare una dotta citazione di uno dei piatti simbolo dell'Emilia; qui è stato nobilitato, ammesso che si sentisse il bisogno, da poche gocce di brodo che diluiscono la delicata crema del Parmigiano. 90/100


  • Il bollito misto non bollito: cottura protetta dei sette tagli classici a bassa temperatura, ricostruzione della peperonata e aria di prezzemolo; se trovi ben disposti sul piatto dei dadi di carni differenti, mai penseresti di trovarti al cospetto del classico bollito misto all'italiana! la cottura sottovuoto ha mantenuto le caratteristiche di ogni tipologia, esaltandole. 97/100

  • L'orto, una sequenza di verdure, cereali e legumi al confine tra il dolce e il salato: un modo originale, ed azzeccato, per preparare la bocca alle nuove sensazioni del dessert, pulendola con l'aromaticità naturale delle erbe, senza alcuna aggiunta di condimenti, che avrebbero coperto la freschezza dell'orto. 97/100

  • Caldo e freddo di una zuppa inglese: una meditata quantità di zuppa inglese, appena tiepida, è quasi nascosta da una copertina di Linus di alkermes; traslucida e trasparente, si lacera sotto la posata ed in bocca rinfresca; piatto fine ed legante. 85/100

  • Dopo un dessert, in genere, ti offrono la piccola pasticceria, ma questa volta Giuseppe Palmieri ha voluto stupirci di nuovo, poiché ha proposto un culatello di razza nera parmense stagionato 48 mesi; abbiamo accettato, sia perché era impossibile dirgli di no, sia perché ha vinto la nostra innata curiosità; Giuseppe sosteneva che avrebbe pulito la bocca, anche perché lo ha accompagnato con un Sauternes: dobbiamo dire che aveva ragione!


  • Alfine, s'è materializzata sul tavolo una scelta di cioccolatini, tra i quali uno con l'aceto balsamico tradizionale di Modena, accompagnati dalla famosa Torta Barozzi; , prezioso dolce artigianale creato alla fine del 1800 da Eugenio Gollini a Vignola, Modena, in onore del famoso architetto cinquecentesco Jacopo Barozzi, detto il Vignola. 88/100



Abbiamo degustato come aperitivo lo Champagne Jean Veselle Rosé de Saignée: secco, fresco, agrumato, di corpo, elegante; la presenza del pinot nero esce prepotentemente, unita alle sottili presenze del lievito. 90/100

A seguire, lo Champagne Roses de Jeanne, Blanc de Noirs, Cédric Bouchard: una scoperta entusiasmante per la pienezza del corpo unita alla raffinata eleganza; la frutta matura esotica si sposa a delicati ricordi agrumati, ai quali s'aggiungono note di te e di balsamico; l'insieme di aromi perfettamente fusi, anche se individuabili singolarmente, s'accompagnano alla freschezza dei grandi vini della Chamapgne. Questa bottiglia ha accompagnato la prima metà del pranzo, accostandosi molto bene alle diverse preparazioni, anche a quelle più saporite, come il croccantino al foie gras. 96/100


Con le cinque stagionature del Parmigiano, ci è stata suggerita una bottiglia della Mosella, il Wehlener Sonnenuhr Riesling Auslese 1994 di Joh.Jos. Prüm: minerale e vegetale, apparentemente sottile come una lama di rasoio, in realtà potente e raffinato, soavemente aromatico ed avvolgente, nel pieno della sua maturità; talmente ricco e strutturato da essere austero; sensazioni di lime e di fiori d'arancio unite a citazioni tropicali; un vino che può avere ancora parecchi anni davanti a sé. 94/100





Con il culatello stagionato 48 mesi è stato proposto il Sauternes Chateau Suduiraut 1er Cru 1995: si tratta di un accostamento nuovo, che lascia sorpresi e che mina alla base certe convinzioni radicate; la ricchezza del vino, anche se ancora giovane, era stemperata dalla bella acidità e dal dispiegarsi delle caratteristiche tipiche dei grandi cru del Sauternes: semplicemente entusiasmante! 92/100



Concludendo, si può affermare di aver incontrato uno dei maestri contemporanei della grande cucina italiana, profondamente legato alla storia del territorio, capace di cogliere l'essenza della tradizione per proporla condita con guizzi d'intelligente innovazione.

UN RISTORANTE D'ALBERGO A MILANO

Ristorante The Park

Hotel Park Hyatt
Via Grossi 1, Milano
Tel. 02 88211234

Il desiderio di sperimentare e di verificare le voci relative a Filippo Gozzoli, giovane e promettente cuoco, ci hanno indotto a cenare presso il Ristorante The Park, posto all'interno del lussuoso Park Hyatt Milan, a due passi dal Duomo e dalla Galleria Vittorio Emanuele II.
L'ambiente è gradevole, appropriato a quello che si autodefinisce "boutique hotel"; il servizio è abbastanza accurato, l'apparecchiatura della tavola elegante e raffinata.

Il menu comprende 20 preparazioni, che vanno dalla tradizione lombarda agli accostamenti della cucina creativa, suddiviso in "classici italiani", "tradizione lombarda", "nuovi sapori" e "menu degustazione".
Per ogni piatto è suggerito un vino, che si può ordinare a bicchiere: una lodevole iniziativa che ci piacerebbe fosse più diffusa, poiché permette di assaggiare diversi vini e trarre il massimo piacere dalla tavola.

La carta dei vini è ampia, con proposte interessanti, anche se, come al solito, con annate generalmente troppo giovani: sembra che la ristorazione sia tetragona a considerare il fatto che i vini debbano essere venduti quando siano maturi, sia rossi sia bianchi; questi ultimi, soprattutto, risentono della moda-mania del consumatore di richiedere l'ultima vendemmia, nell'errata convinzione che i vini bianchi non sopportino affinamenti in bottiglia.
Abbiamo ordinato:
  • Baccalà affumicato, taccole, salsa all'arancia: gli amanti di questo tipo di pesce chiedono di percepirne il sapore deciso, mentre in questo caso la delicatezza ha trasformato il baccalà in un pesce qualsiasi e l'affumicatura era quasi impercettibile. 78/100

  • Tartare di manzo Fassone, raperonzolo, foie gras e zabaione alla soia: carne ottima e gustosa, flebile nei sapori, con opinabile inserimento della soia. 82/100

  • Rigatoni tiepidi al gratin di ricotta stagionata, ricci di mare e peperoncino: semplice e gustoso, anche se si stenta a riconoscere i ricci di mare, soffocati dalla ricotta. 81/100

  • Spaghetti alla chitarra con "carbonara di mare": incuriositi, ci siamo trovati di fronte ad un piatto banale. 79/100

  • Pescatrice al Pata Negra, rosti di patate, tartare di melanzane: queste ultime hanno completamente annullato la presenza del pesce, appena scottato ma privo di sapori marini. 79/100

  • Crepinette di piccione al tamarindo, cous cous di frutta secca: alla carne cucinata con maestria si contrappone un cous cous abbastanza anonimo, che non si fonde, dal punto di vista organolettico, con la carne. 77/100

  • Dessert: fuori lista, assaggi gradevoli ed equilibrati, ottima la preparazione di quelli al cioccolato. 83/100
Ci siamo fatti tentare da una strepitosa bottiglia di Champagne Philipponnat Clos des Goisses 1991, che ci ha accompagnati per buona parte della cena: un vino pieno, ricco, sfumato, maturo ed elegante, con acidità e freschezza rimarchevoli, accompagnate da note agrumate e di frutta matura. L'annata eccezionale è stata il 1990, ma la successiva è di tutto rispetto. 96/100
A seguire, un Sauvignon blanc della Nuova Zelanda, il Cloudy Bay Marlborough 2001: una delle migliori espressioni di quest'uvaggio a livello mondiale; pieno seppur delicato, con tutti i profumi tipici del vitigno, appena ammorbiditi dal passaggio in piccole botti. 94/100



In conclusione, possiamo dire che i vini hanno compensato, in una certa misura, una cena abbastanza deludente, priva di spunti eclatanti, che non ci ha fatto sognare.
Si potrà obiettare che quest'approccio può essere troppo riduttivo o eccessivamente esigente, ma riteniamo che il cibo debba, come il vino, comunicare emozioni, sia organolettiche sia evocative, soprattutto quando ci si siede alla tavola di ristoranti che ambiscono ad essere blasonati.
Riteniamo che quella dell'Hotel Park Hyatt sia una cucina "normale" con qualche spunto innovativo, poco attenta ai sapori primari e caratteristici delle materie prime, orientata ai gusti di una clientela tendenzialmente non incline ad indulgere ai piaceri del palato, più attenta al contesto architettonico che a quello che si ritrova nel piatto.

lunedì 22 settembre 2008

UN'OASI MILANESE

Ristorante Rovello 18
Via Rovello 18
Milano
Tel. 02 72093709

Cercare a Milano un ristorante che proponga una cucina semplice e gustosa, in una parola onesta, è come avventurarsi nel deserto. Come in quella landa desolata, ogni tanto s'incontra un'oasi; in pieno centro, a pochi passi dal glorioso Piccolo Teatro che fu di Paolo Grassi e Giorgio Strehler, il locale esiste dall'aprile 2002: gradevole, raccolto, ricorda le buone vecchie trattorie milanesi piuttosto che i bistrot parigini. Entri e sei accolto da Gualtiero Panciroli, affabile e cordiale, che ti fa sentire a tuo agio.
Poi, lo sguardo è catturato dall'impressionante mostra di bottiglie, sia di vino sia di distillati; sui tavoli bicchieri di diversa foggia e colori creano un'atmosfera rilassata e giocosa.
Il menu è ricco di proposte eclettiche, mai pretenziose: pesci e carni convivono allegramente con primi che suscitano curiosità e desiderio; ma è la corposa carta dei vini che ti sorprende ed affascina. Si usa definirla spesso "meditata", magari per mascherare scelte opinabili; qui no; ogni bottiglia è frutto di ricerca, passione ed amore; sono rappresentati i produttori migliori d'Italia, taluni poco conosciuti dal grande pubblico, con le annate disponibili sul mercato.

Ci siamo lasciati tentare dai gianchetti fritti in pastella, delicati e croccanti, per nulla unti, seguiti da un piccolo gioiello della cucina langarola, i ravioli del plin in brodo di cappone, confezionati artigianalmente a Barolo, "importati" direttamente da Gualtiero e cucinati magistralmente. È stata poi la volta del tonno appena scottato con salsa alla senape e pepe verde con contorno di agretto (barba del frate); da tempo non assaggiavamo un trancio di tonno così succulento e saporoso, per nulla stopposo, come spesso capita.
Il piatto che più ci ha colpiti è stato il dessert: torta di riso venere con crema pasticcera; esemplare nella sua semplicità e contemporanea ricercatezza, testimonia la creatività di Cinzia Rossi, la cuoca, e del giovin figliuolo Michele De Liguoro, 21 anni promettenti.

Consigliati da Gualtiero, abbiamo stappato una bottiglia di Bianco Kapija 2003, Igt Venezia Giulia, prodotto da Podversic Damijan secondo i dettami della biodinamica, da uve malvasia istriana, chardonnay, tocai. Sapido, minerale, agrumato, lievemente tannico, complesso, a tratti aggressivo, di spessore, certamente impegnativo.
Abbiamo desiderato verificare come si comportava in un'altra annata, tenendo presente i problemi della vendemmia del 2003; il vino del 2004 s'è presentato più beverino e profumato, pur mantenendo le caratteristiche d'austerità.
In chiusura, un bicchiere del sole del Mediterraneo, un Nikà, Passito di Pantelleria Doc 2003, prodotto da Case di Pietra: pastoso, solare, ricco di ricordi isolani.
In conclusione, una serata che ci ha riconciliato con l'avara gastronomia milanese e che ci ha fatto andare indietro nel tempo, quando le "trattorie" erano depositarie della cucina semplice ma con tutte le "cose a posto".

Il ristorante è chiuso solo il sabato e la domenica a mezzogiorno; orari massacranti per lo staff, ma graditi al pubblico dei buongustai, che possono cenare come si deve la domenica sera, quando Milano è pressocché tutta chiusa.