mercoledì 18 marzo 2009

BOLLICINE E CAPSULA

Riporto un articolo dell'amico Gianni Legnani, profondo conoscitore e divulgatore delle bollicine, che credo sia interessante e curioso, poiché svela alcuni aspetti poco conosciuti.

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La capsula dello spumante ha 165 anni, un'invenzione semplice e geniale.

Il 15 novembre 2009 ricorre il 165° anniversario di un'invenzione, semplice ma geniale, che si è diffusa in tutto il mondo e che è rimasta praticamente immutata dalla sua prima apparizione, nonostante lo sviluppo delle capacità di ricerca ed i progressi della tecnologia: si tratta della capsula metallica che, con la tipica gabbietta in filo di ferro, trattiene il tappo delle bottiglie dei vini spumanti prodotti nel mondo intero.

Ci è tanto familiare e si è dimostrata così efficace e pratica da montare (ma anche da togliere quando si vuole stappare una bottiglia di spumante) che verrebbe quasi da pensare che la gabbietta e la capsula siano esistite da sempre. Invece non è così, perché l'idea e lo sviluppo dei primi prototipi furono merito di Adolphe Jacquesson, un produttore di Champagne di Chalon-sur-Marne, nella prima metà del 1800.

Risale, infatti, al 15 novembre 1844 la data di deposito del "Brevetto d'invenzione" di vari tipi di capsule in lamierino, fissate sulla parte superiore del tappo ed assicurate al collo della bottiglia con vari sistemi, i principali dei quali consistevano in una gabbietta di filo di ferro ritorto. L'invenzione risolveva due problemi importanti che preoccupavano i produttori di Champagne dell'epoca.

Accadeva in precedenza che parecchie bottiglie "perdevano" (bouteilles recouleuses) perché i tappi lasciavano filtrare del vino e dell'anidride carbonica; il vino si ossidava, perdeva le sue qualità organolettiche e scompariva quasi completamente il suo caratteristico spumeggiare. Il secondo inconveniente era dovuto allo spago che tratteneva i turaccioli.
La pressione interna faceva sì che il tappo fuoriuscisse un po', giacché lo spago tagliava il sughero e penetrava nel tappo; ciò creava le perdite di vino e gas che abbiamo visto. Altre volte lo spago ammuffiva per l'umidità delle cantine, durante la fase d'invecchiamento (quando qualche topo non se lo rosicchiava), s'indeboliva e si spezzava, liberando il tappo che veniva poi espulso dalla forte pressione interna.

In effetti, era sempre esistito il problema di una buona tappatura delle bottiglie di Champagne, sin dai tempi di Dom Pérignon, quando si era messo a punto il metodo per rendere spumeggiante il vino, grazie ad una seconda fermentazione provocata nella bottiglia dall'aggiunta di lieviti e zucchero. Allora le bottiglie (siamo alla fine del 1600) erano tappate con dei cavicchi di legno.
Sui cavicchi veniva avvolta una corda di canapa, imbevuta d'olio, che erano ficcati a forza nel collo delle bottiglie; si cercava poi di migliorare la tenuta, sigillando il collo delle bottiglie con cera liquida o con ceralacca.
Ben presto però ci si rese conto che questo sistema era tutt'altro che efficace, non tratteneva il gas ed era decisamente insufficiente a contrastare la pressione che si sviluppava all'interno, per cui molte bottiglie "perdevano".

Si passò quindi ai tappi di sughero che avevano una migliore tenuta ma, per evitarne l'espulsione, dovevano obbligatoriamente essere fissati con delle cordicelle di canapa, annodate a mano; l'operazione era tutt'altro che semplice e rapida, perciò fu messo a punto uno strumento (detto calbotin o calice o anche pot à ficeler) dove s'inseriva la bottiglia, che rimaneva trattenuta saldamente durante l'operazione di legatura.
Il lavoro dei legatori era però difficoltoso (e doloroso per le mani) e richiedeva un notevole sforzo fisico; ma è solo verso il 1855 che un vigneron di Avize, Nicaise Petitjean, inventò e brevettò una macchina per legare i tappi con lo spago: l'apparecchio facilitava notevolmente il lavoro degli addetti alla legatura e migliorava il fissaggio dei tappi, che restava però precario, per le ragioni viste prima.

Per una maggior garanzia di tenuta, alcuni negozianti rinforzavano la legatura di canapa aggiungendo uno o due fili di ferro ritorto, che venivano fissati con l'aiuto di apposite pinze; se risolveva un problema, questo filo metallico ne creava un altro al momento di stappare la bottiglia: bisognava, infatti, tagliarlo con una pinza speciale o con un uncino di ferro, che lasciavano spuntoni taglienti e pericolosi per chi eseguiva l'operazione.

Per facilitare l'apertura delle bottiglie, senza dover ricorrere a pinze od uncini (e soprattutto per evitare di ferirsi) qualcuno ebbe l'idea di prevedere un anello o un ricciolo sul filo di ferro ritorto, che poteva così essere rimosso più agevolmente. Talvolta questo anello era munito di un sigillo di piombo, sul quale era impresa la parola Champagne oppure il nome o il marchio del produttore o del negoziante.
Il lavoro per applicare la legatura di spago ed il rinforzo di filo di ferro era però lungo, difficoltoso e costoso; si cominciò così a perfezionare il filo di ferro, preformandolo, dandogli cioè una sagoma che ne facilitasse l'applicazione sul tappo ed il fissaggio sulla bottiglia: era nata la gabbietta (muselet).
All'inizio del secolo vennero fabbricate delle gabbiette, molto semplici, con tre o quattro montanti, che formavano un piccolo quadrato o triangolo centrale nella parte superiore: le gabbiette erano posate direttamente sul tappo e, qualche volta, veniva inserita una rondella zincata tra il sughero e la gabbietta per migliorare la tenuta. Poi Adolphe Jacquesson ebbe l'idea di utilizzare una capsula metallica.

La capsula di lamierino era fustellata e preformata, senza scritte o con impresso in rilievo la parola Champagne, che si dimostrò ben presto la soluzione vincente. Tale strumento permetteva di fissare saldamente il tappo, di assicurare un'ottima tenuta, di far assumere al tappo la tipica forma rotondeggiante e regolare, era esteticamente valida e si poteva decorare con i simboli ed i marchi del produttore.
Fu così che la forma della gabbietta si modificò nuovamente, il piccolo spazio centrale divenne più grande per contenere la capsula, che venne stampata con quattro scanalature sul perimetro, per alloggiare saldamente i montanti: era la forma che ora conosciamo e che non è più sostanzialmente cambiata. Il sistema si dimostrò pratico, affidabile, facile da installare e semplice da togliere.

La capsula era anche la soluzione meno costosa delle altre alternative e si è generalizzata per tutti i vini spumanti, diventando anche un simbolo di qualità, tanto che è stato adottato (forse impropriamente) da altri prodotti quali il sidro, l'idromele, la birra.

Tornando a Jacquesson, il 15 novembre 1844 mentre depositava il "Brevetto d'invenzione", non s'immaginava certo che la sua invenzione avrebbe stimolato, parecchi anni dopo, il collezionismo delle capsule, divenute via via sempre più decorate ed attraenti, sino ai giorni nostri. In realtà le prime capsule (plaques de muselet) erano semplici tondini di lamierino zincato, anonime, spesso con l'incavo al centro.
Ben presto si cominciò a personalizzarle, dapprima con la scritta Champagne punzonata a lettere in rilievo e successivamente con il nome del produttore e il paese sede dell'attività. Per proteggere le capsule dall'ossidazione, accelerata dall'umidità delle cantine, a partire dal 1920 s'incominciò a ricoprire il lamierino zincato con una vernice colorata (i colori più usati furono il verde, il rosso, il bianco e il blu).

Le capsule incominciavano ad essere multicolore e a farsi notare molto di più. Nel frattempo la stampa su metallo si andava via via perfezionando e diffondendo, soprattutto per la realizzazione di scatole e confezioni di metallo ed, in seguito, per barattoli, lattine e tubetti. Quindi, negli anni a partire dal 1940 apparvero sulle bottiglie di spumante le prime capsule litografate o serigrafate a quattro colori (esiste una capsula del 1906, litografata, della Maison Pol Roger, che però era praticamente la sola azienda ad utilizzare capsule stampate).

Le nuove tecniche di riproduzione, divenute d'uso comune dopo la seconda guerra mondiale, consentirono disegni ed elementi decorativi sempre più complessi ed elaborati, resi sempre più attraenti dall'evoluzione dei colori da stampa e delle lacche trasparenti protettive, che permettevano di ottenere l'effetto dell'oro e dell'argento brillante. In pratica però, sino all'inizio degli anni '80, la raccolta delle capsule era del tutto sporadica.

Qualcuno conservava semplicemente il tappo, con relativa gabbietta e capsula, di qualche bottiglia stappata in occasioni speciali, spesso scrivendo sul sughero la data dell'avvenimento memorabile. Solo alcuni appassionati, forse neanche una decina, a partire dalla Champagne dedicavano interesse ed attenzione alle capsule e sono stati dei veri precursori della passione che ha poi contagiato molti altri, noi compresi.

Infatti, l'attenzione dei collezionisti e le raccolte fatte dalle Maison produttrici si erano rivolte, sino ad allora, soprattutto alle etichette, forse perché più attraenti per le dimensioni e più facili da conservare e da "godere", con una maggior varietà e contenuto decorativo e artistico delle loro decorazioni.
É dalla metà degli anni '80, che, sempre a partire dalla Francia, il collezionismo delle capsule si diffonde ed attrae un numero sempre maggiore di appassionati, dapprima in Spagna, poi in Italia ed in altri paesi europei e d'altri continenti, parallelamente all'inizio della produzione locale di vini spumanti (Stati Uniti, Australia, Sud Africa, Cile).

In Francia è pubblicato, attorno al 1990, il primo Catalogo (Répertoire des plaques de muselets de Champagne) e nascono le prime associazioni di collezionisti, che sono create successivamente anche in Spagna ed in Italia. È per merito di questi primi appassionati che vedono la luce anche i Cataloghi delle capsule spagnoli ed italiani, indispensabili per chi vuole organizzare e sistematizzare la propria collezione o compilare un catalogo.
I cataloghi facilitano gli scambi ed offrono le prime indicazioni di rarità delle diverse capsule. Le capsule più antiche e più rare raggiungono oggi valutazioni sempre più elevate, talvolta esagerate, ma esiste ancora una forma di scambi tra appassionati, che consente di iniziare la collezione senza necessariamente dover investire somme spropositate.

In Italia è attivo il Club Collezionisti di Capsule che cura questo Catalogo e pubblica un bollettino periodico "La Capsula" con notizie ed informazioni utili, nonché informazioni sulle novità o le "scoperte" fatte e segnalate dai soci; ogni anno si tiene una Mostra Nazionale delle Capsule e varie Fiere o incontri specializzati, che offrono l'opportunità, ad appassionati e commercianti, di esporre le proprie collezioni, compiere scambi o acquisti.

Spesso alla Mostra partecipa anche Daniel Aubertin, responsabile tecnico della Maison di Champagne Paul Goerg, considerato il più importante ed autorevole collezionista di capsule del mondo. Aubertin, che è una persona simpatica e squisita, ha creato un sito, il Placomusophilie.free.fr, che contiene notizie, la storia, aneddoti ed informazioni interessanti ed utili per chi s'appassiona all'argomento.

Alcuni produttori, più sensibili alle esigenze del collezionismo, hanno creato capsule particolari: è il caso della Guido Berlucchi di Borgonato in Franciacorta, che realizza capsule speciali per celebrare avvenimenti importanti dell'Azienda ed ha iniziato ad indicare l'anno della vendemmia (la prima è stata il 1995) sulle capsule delle sue Cuvée Imperiali Millesimate più prestigiose.

Anche la Ferrari di Trento ha realizzato delle capsule celebrative del proprio centenario ed altri soggetti speciali, collegati alle diverse tipologie di spumante prodotti.

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